Rudi, nessuno e centomila

06/10/2015 13:30

IL MESSAGGERO (A. ANGELONI) - C’era una volta il . O forse c’è, ci sarà ancora. Così come il , che non è morto ed è visibile sempre. Ciò che appare certo quest’anno è l’alternanza di sistemi di gioco, cosa insolita per la Roma firmata da . Del resto, il tecnico francese ha sempre fatto notare come la squadra sia profondamente cambiata dal primo anno che, dal punto di vista del gioco, è stato il migliore. Forse quel calcio con tre attaccanti di movimento, compreso un finto centravanti, con due centrocampisti di rottura e uno dai piedi buoni, con due centrali possenti e due terzini che andavano, non si può fare più. La metamorfosi è cominciata lo scorso anno, nei momenti di difficoltà, quando ha snaturato la squadra, ad esempio a Monaco, abbandonando il calcio offensivo per un gioco da uno contro uno, più rigido, meno libero. È difficile non prendere gol e segnarne tanti se non hai gente come , , con due anni in meno etc etc. Quest’anno, la trasformazione è continua: non esiste più il modulo base, ma il sistema di gioco basato sul momento, sugli uomini a disposizione e sugli avversari. Un pirandelliano, insomma, da “Uno, nessuno e centomila”, o principe di una “Metamorfosi” kafkiana. Qualche numero e parliamo di moduli di partenza: finora tre volte in campo con (Verona, e Sassuolo), 5 con il vecchio (, Sampdoria, Carpi, e Borisov), una con il neonato 4-4-0 o 4-4-1-1 (Palermo).

TRE SISTEMI - Abbiamo visto il vecchio poi trasformatosi in oppure in 4-1-4-1, fino al 4-4-2 (4-4-1-1) di Palermo. Rudi sta cercando il sistema migliore per proteggere la squadra, viste le difficoltà difensive, che derivano dalle assenze di uomini-chiave. Esempio: quando va in campo con , è più facile vedere una Roma schierata con il , come a . Se non c’è uno e non esiste il sostituto? Si cambia modo di stare in campo. Giocare con troppi sistemi di gioco diversi può disorientare l’avversario, ma anche gli stessi calciatori che in ogni partita si ritrovano a fare movimenti diversi, partendo da posizioni differenti. Non è facile acquisire un’identità di squadra se si cambia in continuazione. è terzino o ala offensiva? copre meglio la squadra da centrale di difesa o da centrocampista? E è un trequartista o un regista? La Roma oggi è una squadra squilibrata, capace di segnare 17 gol, risultando il miglior attacco del campionato, e di subirne 9, essendo così la decima difesa, con solo tre reti in meno del , ultimo in classifica. Domenica ha sorpreso ancora. I risultati sono stati buoni, ma l’equilibrio non c’è.

CALCIO SACCHIANO - Al Barbera, ennesimo esperimento, nemmeno definitivo. La Roma che ha battuto il Palermo è sembrata logica, con un senso tattico: e i due interpreti perfetti per giocare esterni di centrocampo nel 4-4-2. Controindicazione: non hanno alternative. L’alternativa, se mai, è ricambiare modulo. Perché un conto è prevedere uno di loro in quella posizione, un altro è giocare con o larghi o addirittura con e . Più facile, in questo caso, chiamarlo o . , con il sistema di gioco visto al Barbera, dimostra come sia più un centrocampista attaccante che non difensore, e dimostra anche che se Ale gioca lì, il terzino è e non , finito terzo nell’ordine di preferenza. Il 4-4-2 ha il vantaggio di poter gestire la rosa lunga in attacco: lo si può giocare sia con punto di riferimento sia con Gervinho. Le coppie sono quasi tutte giuste. Lo si può fare anche con dietro la punta centrale. Per i due di centrocampo vale lo stesso discorso fatto per gli attaccanti: -, -, in futuro - etc etc. Se la squadra è compatta, la difesa, nonostante le difficoltà ( fuori ruolo, esausto, malato, non si sa e sparito) regge l’urto. Se cambi gli esterni alti e non hai, e non le hai, alternative, si va nel pallone e devi ricambiare sistema di gioco. L’ideale sarebbe avere e come esterni bassi, ma purtroppo non si torna indietro nel tempo. Guardando la Roma di domenica, avrà capito che forse sarà il caso di reperire un altro terzino di gamba e un bel centrale di difesa. Lo scudetto passa anche da queste piccole/grandi cose. Non è solo una questione di numeri, in questo ha ragione Roberto Mancini.