02/11/2015 13:11
IL TEMPO (A. AUSTINI) - Preoccupati no, ansiosi sì. Stranezze del calcio: la Roma ha inseguito per tutta l’estate Dzeko, una trattativa estenuante con il Manchester City per abbassare il prezzo fino a 15 milioni, l’obiettivo raggiunto, la folla di tifosi ad accoglierlo a Fiumicino, una partenza da sogno con il gol decisivo contro la Juventus il 30 agosto. E poi? Più nulla. O meglio: Edin ha continuato a giocare più per la squadra che per sé, ma ha smesso di «vedere» la porta. Un digiuno così lungo (576 minuti senza segnare), coppe nazionale escluse, non gli capitava dal 2008. La confidenza con il gol l’ha persa prima e dopo il fastidioso infortunio al ginocchio che l’ha tenuto fuori un mesetto e continua a limitarlo.
«Quando ritroverà la condizione riuscirà ad arrivare 4-5 secondi prima sul pallone». Così Garcia ha spiegato dopo il ko con l’Inter (prima gara senza gol dei giallorossi) la difficoltà di Dzeko nel tornare a fare quel che gli è sempre riuscito con discreta facilità in tutti i campionati. Se Batistuta al suo primo anno da romanista, concluso con lo scudetto, era già arrivato a dieci reti nelle prime undici gare di serie A, salvo poi rallentare nel girone di ritorno e passare lo scettro di bomber a Montella, il bosniaco è uno che per struttura fisica e scarsa conoscenza del campionato italiano potrebbe avere più bisogno di carburare.
Mettendo da parte l’ultima stagione, in cui è finito spesso in panchina ed è arrivato al modesto score finale di 4 centri in 22 presenze di Premier, le statistiche dell’anno precedente incoraggiano Garcia: dei 16 gol totali segnati nel campionato inglese da Dzeko con il Manchester City, appena 4 sono arrivati nel girone di andata. In Bundesliga non ha mai avuto grossi problemi a bucare i portieri avversari: nella stagione in cui ha vinto il titolo col Wolfsburg lo ha fatto 26 volte, l’anno dopo con 22 reti si è portato a casa il titolo di capocannoniere di Germania. Insomma è solo questione di tempo. Questo dice la storia del centravanti di Sarajevo, lo stesso pensano un po’ tutti a Trigoria, dove l’atteggiamento del numero 9 è piaciuto sin dal primo giorno per carisma, professionalità e capacità tattiche in campo. Certo, lo vorrebbero più «cattivo» rispetto a quanto lo è stato sabato contro l’Inter: la mollezza con cui è arrivato su quei due palloni ricevuti nel primo tempo, uno crossato da Digne e l’altro respinto sui suoi piedi da Handanovic con la porta spalancata, è il segnale di cosa manchi in questo momento a Edin. E alla Roma tutta: il concetto di «rabbia agonistica» è stato ripreso ieri da Garcia nel colloquio precedente all’allenamento con la squadra. Perché se Dzeko o gli altri avessero calciato con più convinzione verso la porta, risultato e classifica ora sarebbero diversi.
Questo l’unico appunto fatto ai giallorossi dal tecnico, mentre già sabato sera i dirigenti si erano occupati personalmente di rimproverare Pjanic: un’espulsione assurda, evitabile e dannosa, visto che il bosniaco dovrà saltare il derby dopo aver lasciato i suoi compagni in dieci a San Siro in una partita ancora apertissima. Le proteste sono costate già troppo care, vedi Salah cacciato a Firenze dal severo Orsato, d’ora in poi sarà il caso di evitarle. La Roma inizia una settimana fondamentale in cui si giocherà la Champions mercoledì in casa con il Bayer Leverkusen e dovrà affrontare domenica pomeriggio la Lazio nel derby che si annuncia il più triste di sempre sugli spalti. Meglio tenere i nervi saldi e la società, parlando con Pjanic (ma senza multarlo), intende trasmettere un messaggio all’intero gruppo.
A Trigoria hanno preso invece con un sorriso, tra lo stupito e l’amaro, il tweet post-partita di Mancini: «Bravissimi a non concedere nulla alla Roma» ha cinguettato l’allenatore interista, al termine di un match in cui il suo portiere ha effettuato nove parate. Per carità, chi vince ha sempre ragione, ma a tutto c’è un limite.