24/11/2015 13:28
LA REPUBBLICA (E. SISTI) - Aggiornamenti della sindrome di Stendhal: l’arte del pallone provoca svenimenti, è un attimo, parte il sombrero rovesciato di Neymar contro il Villarreal, spunta lo scavetto di Suarez contro il Madrid e ti ritrovi per terra: “Ma che ho visto, fantasmi?”. No, quadri in movimento. Se guardi ti fanno male gli occhi, se perdi la diretta ti senti più povero e vagamente inutile. Le squadre che praticano calcio in combinazione con colori non ancora ottenuti ufficialmente sul pianeta Terra (mettiamo Barcellona e Bayern) non danno informazioni sulle loro composizioni cromatiche. Più che squadre sono “coffee shop” legali, si sale, si sale, si sale. Ci si augura di vederle sempre da lontano ma ogni tanto capita di doverci giocare contro, da calciatori o da appassionati. Difficilmente l’essere umano trova il coraggio di opporvisi: la bellezza che si manifesta su un campo di calcio amalgama passioni e bandiere. Raccontava l’ex campione francese Fabrice Santoro: «Quando giocavo contro Federer, era talmente bello guardare i suoi colpi che quasi speravo che vincesse lui, io tifavo per lui!». È così anche per questi mostri che si esibiscono al folle ritmo della semplicità, la stessa con cui i ragazzini fanno numeri al prato sotto casa o in spiaggia per fare colpo sulle ragazze.
Suarez, Neymar, Messi, che stasera tornerà titolare dopo la rottura del collaterale del ginocchio a settembre, sono l’extralarge della qualità, l’insostenibile leggerezza dell’essere: superiori. Nel 2015 la sacra trimurti sudamericana ha realizzato 115 reti, ha trovato la via della luce nei modi più disparati. Più vedevano chiaro, più erano gli altri a rimanere accecati. All’inizio di questa stagione qualcuno ha temuto. Neymar e Messi, preoccupati dai problemi fiscali, avrebbero potuto rallentare, dopo tutte quelle soddisfazioni sarebbe stato anche comprensibile non provare più la voglia matta di lanciarsi nello spazio, creare per mandare ai posteri. E Suarez non sembrava ancora assimilato: come ci fosse sempre un filo d’erba a separarlo dagli altri. Adesso anche questo è un ricordo. Come la teoria secondo cui il Barcellona sarebbe dipendente dall’estro di Messi. Leo è riuscito a non rendersi indispensabile. Neymar e Suarez sono andati avanti da soli. Sono amici con gli scarpini, con le ciabatte, con le scarpe da cena elegante. Neymar è il burlone («sono senza speranza», dice di sé), Suarez il più indicato per una conversazione che possa andar bene anche alle mogli o alle fidanzate («dategli una moglie!», esclama Luis pensando a Neymar).
I Senza Messi parevano spacciati quando Leo s’è fatto male: «Stai a vedere che il Barça precipita in classifica!», scrivevano, ma nessuno ci credeva. Sguardo dopo sguardo, adesso Neymar e Suarez sembrano una cosa sola. Hanno segnato 20 gol dei 22 realizzati dal Barcellona senza Messi (10 a testa), in Liga hanno messo a segno tutti i gol del Barcellona senza Messi con l’unica eccezione del recente capolavoro di Iniesta nel “clasico”. Dopo la sconfitta con il Siviglia hanno vinto 7 partite consecutive (4 in Liga e 3 in Champions). Anche senza Messi Stendhal è dietro l’angolo. Famosi nel mondo per la loro competenza, perché a volte preferiscono veder giocare bene la loro squadra anziché vederla vincere, si presume che persino i disperati tifosi del Madrid, l’altra sera, abbiano avuto un moto di commozione nel vedere Neymar crossare di collo esterno per la testa di Suarez, dopo un’accelerazione che aveva i colori dell’arcobaleno. La Roma lo sa, è contenta per Luis Enrique e sorride. Con un punto il Barça sarebbe qualificato. Ma al prato sotto casa “quelli” giocano sempre. «Spero che la Roma passi, ma il mio lavoro è provare a vincerle tutte», dice Luis. Loro non devono qualificarsi, loro si divertono. E noi pure.