Una sfida senza anima: com’è triste l’Olimpico

07/11/2015 14:25

IL MESSAGGERO (P. MEI) – S’intrecciano storie e ricordi, sfottò e accoltellamenti, gol fatti e gol subiti, il selfie di , che ha lanciato una moda, e il “Game Over” sbattuto in faccia alla Sud dalla Nord, romanista la prima, laziale la seconda. Un “Ciao ’nvidiosi” di svariati metri quadri di stoffa è ancora negli occhi; i tifosi biancocelesti che cantano “se leggemo er Messaggero, se leggemo er Messaggero” quando la squadra del cuore si stancava perfino di vincerli tutti. Il derby poteva essere tutto: valeva una stagione, si diceva, quandola stagione era per tutti povera di gloria di classifica. “Come sta il piccione?” domandava sarcastico uno stendardo alludendo all’aquila Olimpia cui è stato proibito il volo temendo i cecchini giallorossi; “Sai che spettacolo Sabrina a settant’anni” scrissero una volta i laziali alludendo alla magnifica Ferilli che aveva promesso lo spogliarello per lo scudetto: era chiaro che non ne prevedevano uno a breve termine.

I RICORDI – Il derby nei film in bianco e nero prevedeva perfino romanisti e laziali seduti fianco a fianco, perché del resto in famiglia succede che ci siano d’ogni maglia e non per questo fanno a botte o peggio. Perché lo stadio debba trasformarsi in un luogo di duello e di sangue è ancora da spiegare. Si dice: nello stadio non succede più niente. Ci si domanda però cosa succede fuori, e gli abitanti di Roma Nord, ai quali va anche riconosciuto il diritto di vivere la loro domenica (o sabato ) normale, anche senza calcio e senza derby se non lo vogliono. Si vorrebbe, però, “il derby d’una volta”: allo stadio bisognava andare presto, non tanto per la folla che fa parte dello spettacolo calcistico lautamente pagato dalle televisioni perché il mortorio non è spettacolo, per l’ingorgo tutt’intorno, per il parcheggio da caccia al tesoro per chi osava andare in macchina, per la non facile accessibilità dello stadio che è nel cuore di una à ed è questa la sua bellezza e il suo limite in caso di grandi folle. Nel rugby va tutto più liscio, ma questo è un altro discorso: di approccio sportivo. Dunque si andava presto; e nei giorni che precedevano il derby i “covi” (da chiamare così con affetto e simpatia) del tifo lavoravano in gran segreto alla coreografia, ciascuno la sua, ciascuno un’idea guida, e guai se gli avversari l’avessero scoperta perché bisognava ricominciare tutto da capo. L’effetto sorpresa era un ingrediente dell’intera vicenda. E poi bisognava portare tutta la strumentazione necessaria al botta e risposta da una parte all’altra: avevano la battuta pronta le due tifoserie. Ovviamente non tutte le battute riuscivano bene, non tutte erano da salutare come un moto dell’animo. Non accade solo nelle curve che le battute non sempre riescano, oggi si direbbe i tweet.

LE CURVE – Il derby di Roma lo invidiavano ovunque: i tanti di Londra, quello di San Siro, quello dei vari stadi di Torino, quello della Lanterna, il derby di o di Madrid potevano anche avere contenuti tecnici più rilevanti. Ma non avevano, né mai avranno, le curve dell’Olimpico. Triste non vederle, al di là della vivisezione delle ragioni di una parte, l’Autorità con la maiuscola, che ha le sue, i tifosi che hanno un cuore, un’abitudine, un posto opzionato che non è più quello, e per questo s’infuriano, non necessariamente perché “vogliono fare casino”. E anche portare i bambini allo stadio diventa difficile: come spiegare loro quei vuoti? come accendere la loro futura passione nel silenzio? Ci fu una splendida (e di successo) campagna del Messaggero tanti anni fa quando l’austerity e la spending review ci tolsero la festa dell’Epifania: “Aridatece la Befana” diceva. Ce la ridettero. “Aridatece il derby”, chissà come, ma presto. I tifosi non sono solo clienti.