31/12/2015 13:22
IL MESSAGGERO (S. CARINA) - «La curva Sud? Dal campo era bellissima. Spero si riparta da qui». L’auspicio di Vincent Candela è destinato a rimanere tale. Perché nonostante il ritorno per un notte della curva Sud, non è cambiato e non cambierà nulla. Contro il Milan, il 9 gennaio, rimarranno soltanto le barriere, senza tifosi. Anche se il pensiero dei ragazzi dei gruppi è difficilmente omologabile, lo striscione sugli spalti apparso l’altra sera («Siamo ancora qua») lo fotografa. Si tratta di un messaggio preciso: «Se volete, noi ci siamo, non siamo scomparsi». Il problema è che la presenza è subordinata a volontà (in primis l’abbattimento della vetrata che divide il settore) che si scontrano con il giro di vite imposto dalla Questura e dal Prefetto Gabrielli. E il bilancio, per una gara di beneficenza, tra daspo annunciati e denunce, non fa altro che irrigidire le rispettive posizioni. Ma sbaglia chi pensa che la protesta sia volta esclusivamente alle istituzioni. L’indifferenza andata in scena martedì nei confronti del club non inganni. Senza voler tornare alla decisione di qualche settimana fa di andare a vedere la Primavera di De Rossi anziché la prima squadra (con annessa contestazione alla dirigenza e a Pallotta), qualcosa si è rotto. Far finta di nulla o far trapelare che l’unico problema è il rapporto con le istituzioni, equivale a nascondere la testa sotto la sabbia. E non possono essere (anzi, non sono) soltanto i risultati a spiegare la disaffezione. Perché coloro che adesso apparentemente girano le spalle, sono gli stessi che esponevano lo striscione «Mai schiavi del risultato» (Roma-Lecce 2-1, 20 novembre 2011); applaudivano e cantavano «vinceremo il tricolor» al fischio finale di Roma-Bayern 1-7; sostenevano incessantemente la squadra nonostante l’umiliazione che si stava perpetrando sotto i loro occhi durante Barcellona-Roma 6-1.
LA PROTESTA I fischi di Roma-Bate-Borisov, ad azzittire lo speaker raggiante che annunciava il superamento del turno, mostrano che oltre ai risultati, bisogna certamente proporre un buon calcio ma soprattutto creare un’empatia tra campo e spalti. La distanza invece che a volte si avverte tra quanto viene promesso e la realtà, è siderale. Anche il racconto che spesso si fa della stessa, cercando di trovare sempre giustificazioni all’esterno (media o tifo) per gli errori commessi e mai facendo autocritica, alla fine si sta rivelando un boomerang. Per questo chi si è affrettato a considerare gli 11.700 spettatori presenti l’altra sera, 29 dicembre, come pochi, sbaglia. Perché sono poco meno del doppio dei 6.415 paganti di Roma-Bate, gara decisiva per la qualificazione agli ottavi di Champions