Olimpico deserto, la partita è virtuale

03/12/2015 14:24

LA REPUBBLICA (G. CARDONE / M. PINCI) - Capitale d’Italia e capitale del calcio. Di quello parlato, però. «Roma è una à di chiacchiere», ammoniva tredici anni fa l’allora presidente laziale Cragnotti. Chissà cosa direbbe oggi che proprio con le chiacchiere la à sembra aver sostituito l’amore per il gioco più bello del mondo. C’era una volta l’Olimpico delle bandiere e delle coreografie, degli sfottò e delle file ai botteghini pure prima di un derby da metà classifica. Ora l’immagine è quella surreale dell’ultima sfida, Roma-Lazio per pochi intimi, nemmeno trentamila persone. Mentre in quindicimila si scambiavano “like” e commenti via social nella partita virtuale, allo stadio restava soltanto l’assordante rumore del silenzio.

Lo stesso che devono aspettarsi domani Lazio e . Nei giorni in cui Cragnotti puntava il dito contro i bla bla bla capitolini, questa partita registrava 70mila spettatori trepidanti e oggi, tredici anni dopo, la miseria di 7.500 biglietti venduti: praticamente all’Olimpico potrebbero chiamarsi per nome. E quasi la metà saranno juventini, tra i 1.300 del settore ospiti, i duemila dei Distinti Est più quelli che saranno in Monte Mario. Pioli dovrà insomma giocarsi la panchina in uno stadio semivuoto e per larga parte ostile, dopo aver fatto segnare il record negativo contro il Dnipro, appena 2.942 paganti. E quattro giorni prima, in campionato contro il Palermo, erano 2.987. Ma evidentemente ai laziali non interessa, non più.

E la situazione è la stessa quando giocano e soci. Vi ricordate il bimbo che nella pubblicità Barilla degli anni Ottanta s’emozionava quando il custode lo invitava a spegnere la radiolina per entrare allo stadio? Oggi i bimbi come lui hanno quarant’anni, la domenica restano a casa e riaccendono la vecchia radio. Il calcio a Roma, almeno dal vivo, non attira più: meglio accomodarsi sul divano e ridurre la propria passione a commenti di pancia da affidare all’etere. In à lo fanno tutti, coccolati dalle mille ore di dirette radiofoniche settimanali interamente dedicate alle squadre della capitale. Sette emittenti monotematiche ne parlano 24 ore su 24, persino i due club ne hanno inaugurate di proprie pur di esercitare un ruolo attivo nel chiacchiericcio quotidiano. E per chi non ne avesse abbastanza c’è la tv, con una dozzina di trasmissioni distribuite per tutto l’arco della settimana. Ma radio e programmi coloriti c’erano anche prima, quando lo stadio esplodeva di colori e di emozioni (pure per qualche petardo, va detto). Oggi invece l’Olimpico è abbandonato alla depressione: in un anno Roma e Lazio hanno perso 10.500 spettatori a partita. I due club insieme superano il milione di follower su ma solo nell’ultima estate hanno detto addio a 5.923 abbonamenti, quasi il doppio (10.278) negli ultimi sei anni.

La sedimentazione della piazza su valori inauditi di tristezza è evidente. fatica a nascondere la propria preoccupazione: per il disamore della gente verso la squadra, per gli scioperi dei tifosi che incidono sugli affari del club ma soprattutto sull’umore dei calciatori più importanti. Anche prima che i tifosi foderassero di carote la sua Trigoria: soltanto 60 polemici, mica un fiume di gente. L’ennesima contestazione in favore di telecamera dopo quella contro gli “11 indegni” di Formello, a dimostrazione che nemmeno le gogne ai calciatori si organizzano senza garantirsi un ritorno mediatico. Quanto passerà allora prima che o Felipe Anderson si guardino intorno e dicano sconcertati: «Ma dove m’avete portato?».