11/12/2015 14:57
IL MESSAGGERO (S. CARINA) - Ottavio Bianchi, ex tecnico di Napoli e Roma, durante la sua esperienza in giallorosso subì una dura contestazione nonostante fosse riuscito ad arrivare in finale di coppa Italia e coppa Uefa nella stessa stagione. Dalla querelle con Giannini, al quale tolse la fascia di capitano, al difficile rapporto con Conti, non ha mai avuto paura di prendere posizione. E lo fa anche stavolta.
Che impressione le ha fatto la Roma con il Bate?
«Vista da fuori mi sembra che accadano sempre le stesse cose. Dal Bayern al Barcellona, dall’Atalanta al Bate, ci sono calciatori che non riescono a fare più il minimo sindacale. È una squadra traumatizzata, i giocatori sono seriosi, tristi, hanno il braccino. Non so se sia stata sopravvalutata la rosa o meno, l’impressione è che in questi anni si sia parlato molto. Forse troppo. Si è partiti sempre per vincere ma non si è mai riusciti realmente a competere».
È rimasto sorpreso dei fischi a qualificazione raggiunta?
«Il pubblico di Roma sembra essere facilmente malleabile ma non è così. Ai miei tempi il tifo organizzato contavadipiù epotevaorientare gliumori. Oggi la situazione è cambiata. La gente anche se ti dà l’idea di seguire il gregge, pensa con la propria testa e se gli ripeti in continuazione che sei il migliore e poi non gli dai uno spettacolo adeguato, ti fischia».
Questo clima di contestazione lei lo ha vissuto in prima persona. Trova delle analogie con quanto sta accadendo ora?
«Non scherziamo, non c’è paragone. Queste sono bazzecole. All’epoca io avevo 70mila persone che mi urlavano contro dopo aver raggiunto una finale di coppa Italia e coppa Uefa».
Come si convive con un clima (apparentemente) ostile?
«Avendo un carattere forte, facendo risultati e contando sull’appoggio della società. Mi sembra che si ponga poco l’accento sulla situazione anomala della Roma che vede un presidente che vive dall’altra parte del mondo. In sua assenza, bisognerebbe avere dei punti di riferimento con personalità e carisma che ora non ci sono. In tanti anni che ho allenato, non ho mai avuto problemi quando avevo come interlocutore diretto il presidente. Nel momento in cui sono entrati in gioco 2-3 intermediari, mi sono ritrovato in braghe di tela».
Che ne pensa di Garcia?
«È un tecnico che si è italianizzato in fretta, prendendo anche lui l’abitudine di tirare in ballo l’arbitro, il campo e la sfortuna quando si perde. Inizialmente mi sembrava un uomo nuovo anche se pensavo che avrebbe fatto fatica a sostenere questo ruolo a lungo. Forse non mi sbagliavo. Tatticamente in Italia non puoi pensare di giocare soltanto con giocatori che vanno a mille all’ora sulle fasce e che ti puntano nell’uno contro uno: dopo la sorpresa iniziale, attuare le contromisure è abbastanza semplice. Tra l’altro senza un calciatore di quasi 40 anni come Totti, non c’è uno che verticalizza l’azione. Il movimento da dietro non c’è, l’inserimento dei centrocampisti senza palla non c’è, così la Roma diventa facilmente prevedibile. L’unico che si prende delle responsabilità, in assenza del capitano, è Florenzi».
Le piace nel ruolo di terzino?
«È il classico giocatore da taschino, ideale per gli allenatori perché dove lo metti sta. Però è indubbio che si esalti di più dalla mediana in su. Terzino è un po’ sacrificato».
Domenica c’è Napoli-Roma, la sua partita.
«Il Napoli ha perso a Bologna ma ha una sua identità, quella che manca alla Roma. Può anche perdere ma si vede che la squadra di Sarri è organizzata e ha corretto alcuni errori del passato. I giallorossi invece sono rimasti fermi. Non vedo evoluzioni. Al momento l’impressione è che sia favorito il Napoli ma io i pronostici li sbaglio sempre».