LA REPUBBLICA (E. GAMBA) - Con la sua formula vagamente antidemocratica e ipergarantista nei confronti dei più forti, la Coppa Italia è entrata nel vivo: ieri sono scattati gli ottavi e in questa tre giorni di dirette televisive (i diritti sono della Rai, che caldeggia questo tipo di regolamento) scendono in campo tutte le big e spicca una partita di fascino particolare, cioè il derby di Torino cui è dedicata la prima serata del mercoledì, la più nobile.
Da quando è possibile vincerla giocando appena cinque partite, delle quali tre in casa e una in campo neutro (la finale dell’Olimpico), la coppetta nazionale ha scatenato la golosità dei molti che prima con nonchalance la snobbavano:
la Juve, per dire, l’ha vinta nello scorso maggio dopo vent’anni di digiuno e al Milan manca da dodici. Ma il colpo di ieri ai supplementari dell’Alessandria a Marassi (prima squadra di Lega Pro ai quarti) contro il Genoa è per una volta in linea con quel che accade nel resto d’Europa, dove la competizione conserva l’attrazione romantica della sfida delle piccole alle grandi (in Francia nell’ultima finale c’era l’Auxerre, serie B), mentre da noi partite come Roma-Spezia si giocheranno nel deserto. A campi invertiti avrebbero invece fatto il pienone, e anche un po’ di storia. Ma la Coppa ingolosisce assai: garantisce l’accesso all’Europa League senza passare dai preliminari, spalanca le porte alla visibilità e agli incassi della Supercoppa, che molto probabilmente si giocherà in Cina (ma a Pechino) anche l’estate prossima, e garantisce un discreto montepremi: nella stagione passata alla vincente andarono 2.5 milioni e all’altra finalista, la Lazio, 1.4.