Garcia resiste ma non convince

10/01/2016 14:26

IL TEMPO (A. AUSTINI) - «Ci preoccupa la fragilità, l'incertezza e la poca prepotenza della squadra». Il parla prima di Roma-Milan ma è come se l'avesse già vista. Un primo tempo più che dignitoso, un crollo inspiegabile e totale nella ripresa. Giocatori abbattuti fisicamente e mentalmente, sotto da un avversario tutt'altro che irresistibile, impossibile non attribuire colpe all'allenatore e al suo staff.

Ma resta lì, fino a prova contraria, perché la società non ha trovato un sostituto degno e preferisce cambiare guida tecnica a fine stagione, quando saranno in molti a fare delle riflessioni. «I risultati condizionano le scelte relative a tutti - specifica - ma non possiamo limitarci a una sola partita, dobbiamo vedere il lavoro complessivo». E intanto la classifica si fa malinconica, con la prospettiva di giocare un intero girone di campionato e un doppio ottavo di col Real che mettono angoscia solo a pensarci.

Rudi prova a tenere insieme i cocci, ma inizia fare molta fatica e non lo nasconde. «Sembravamo Dr. Jeckyll e Mr. Hyde - dice il francese a fine partita - nel primo tempo meritavamo di vincerla, nella ripresa di perderla. In serie A serve continuità, ma la luce si è spenta sia fisicamente che tatticamente. Non può succedere a questi giocatori e questa squadra, dobbiamo farci delle domande e trovare delle soluzioni. Non me l'aspettavo un calo del genere». Il problema è senza dubbio mentale, anche se non è l'unico. «Quando si gioca senza fiducia - l'analisi dell'allenatore - e con la paura non si fa bene. Ci dobbiamo aiutare da soli, finché non mostriamo più personalità non riusciremo a migliorare. Bisogna stare meglio fisicamente per rendere, ma ciò non toglie che m'aspetto di più dai miei. La squadra lotta, ma se arretra troppo la difesa e l'attacco resta davanti a centrocampo si crea il vuoto. Non siamo stati capaci di continuare a pressarli, abbiamo abbassato il baricentro e forse non avevamo le gambe per farlo ancora. Abbiamo sbagliato tanti passaggi, una cosa incredibile per un gruppo della nostra qualità: non si possono fare così tanti errori».

Oltre alla testa le gambe non girano più. Inspiegabile ad esempio la scelta di tenere in campo 90 minuti , che ha giocato quasi da fermo. E poi , , (costretto a mangiare miele all'80') e , talenti dissolti e imballati. «Il problema non è solo atletico - spiega - ma anche tattico e tecnico, però non è bello vedere in campo giocatori che non stanno bene per tutta la partita. Cercheremo di lavorare nelle due settimane piene che abbiamo davanti fino alla , ma prima bisogna battere il Verona. Siamo a metà campionato, nulla è ancora perso, però se vogliamo accorciare sulle prime dobbiamo fare di più».

Inevitabile la domanda sul possibile esonero. «È la mia ultima preoccupazione, devo pensare a come far migliorare la Roma. Io do il meglio di me, il resto non mi interessa. Fino a novembre abbiamo giocato benissimo, adesso ci riusciamo solo a corrente alternata. Il gruppo dà tutto anche se a volte manchiamo di un po' di "riflessione" quando ci mancano i leader. Un problema mentale c'è perché siamo stati diverse volte in vantaggio e poi ci hanno raggiunto. Il "clic" che chiedevo alla vigilia non è arrivato. Se vedo i ragazzi rassegnati? No, altrimenti avremmo perso la gara. Nel calcio non c'è mai un lungo fiume tranquillo, quando arriva il momento di soffrire bisogna essere più determinati e compatti». I romanisti, intanto, non ce la fanno più a ingoiare delusioni e l'Olimpico è tornato a fischiare ferocemente alla fine della gara col Milan. «È normale che i tifosi non siano contenti per il secondo tempo, nemmeno io lo sono». Separarsi, forse, è l'unica soluzione. Eppure giugno sembra lontanissimo.