25/01/2016 14:13
LA REPUBBLICA (E. GAMBA) - Quattro giorni dopo la Lazio dalla Coppa Italia, la Juve ha eliminato anche la Roma dal campionato, anche se sarebbe ardito definirla un’impresa: diciamo che ha dato una spintarella a una squadra già senza più equilibrio e rassegnata a ruzzolare lontano. L’undicesima vittoria consecutiva dei campioni d’Italia è stata anche una delle più grigie, ma capita in questi periodi nei quali le fatiche si accumulano, togliendo lucentezza. Ma capita anche, in questi casi, che la differenza la facciano quelli bravi ed è così che l’equilibrio immobile (e noiosissimo) di Juventus- Roma è stato spezzato da un gioco a tre tra Evra, Pogba e Dybala, ovvero il sentiero lungo il quale scorre il gioco juventino, ieri sera più di ogni altra volta: i due francesi hanno organizzato l’azione e l’argentino l’ha rifinita con un sinistro tagliente, millimetrico, letale e fatale. La Roma non ha gente di quel livello. E se crede di averne, magari riferendosi a Salah o a Dzeko o a Pjanic, o è sopravvalutata oppure non ha la personalità per distinguersi nelle situazioni di difficoltà. Per non dire di De Rossi, che ha chiuso la settimana dell’omofobia e del razzismo dando dello zingaro di merda a Mandzukic. In due partite, Spalletti ha perso cinque punti dalla prima in classifica: il suo lavoro, da qui in avanti, non sarà più d’ambizione ma di ricostruzione. Che si tratti di traghettare o di rifondare, l’allenatore deve pensare ad allenare il futuro, non più il presente.
Ieri sera la partita è rimasta in piedi, immobile nella sua fissità fondata sullo sterile possesso palla juventino e sull’ordinata difesa giallorossa, fino a una dozzina di minuti dal termine. La sensazione è che, più che merito della Roma, sia stato per demerito di una Juve che ha traccheggiato un po’ troppo, probabilmente sorpresa dal ritrovarsi ancora appiccicata addosso l’avversario nonostante una fase di dominio totale – grosso modo dal 10’ al 30’ alla quale gli uomini di Spalletti sono sopravvissuti con lo spirito di sacrificio, menando calcioni a vanvera (De Rossi e Rüdiger si sono fermati al giallo ma hanno rischiato il rosso) e con l’umiltà di chi sa di non avere creste da alzare, per lo meno non in questo momento. La Juventus è rimasta come intorpidita e in fin dei conti non ha mai tirato in porta in maniera credibile (due sinistri di Evra hanno mirato la bandierina del corner più lontana) fino alla metà del secondo tempo, quando il terzino francese, liberato da una combinazione tra Pogba (di tacco) e Mandzukic, ha trovato il corpo di Szczesny, esercitando il suo dominio solamente attraverso il controllo del centrocampo, la predominanza assoluta sul piano atletico, la superiorità nei contrasti. Ma messa lì, con ordine e attenzione, la Roma ha protetto bene il suo portiere e il territorio accompagnando il gioco, quello suo e quello altrui, verso un tran tran di monotonia che in definitiva ha creduto che fosse (ed era) la sua unica speranza di salvare le penne in questo stadio dove ha sempre perso, con rabbia o con disonore oppure, come ieri, per timidezza, e con senso di inferiorità.
La Roma ha avuto ordine ma non coraggio (forse non ha la forza fisica per averne), pur riscendo a creare due opportunità (una per tempo) con Florenzi e Nainggolan. Ma davvero ha sempre dato l’idea di non essere all’altezza dell’avversario, anche di questo avversario un poco malmostoso, mai veramente esuberante come invece nelle ultime settimane. La Juve, per esempio, non ha avuto il controllo della fascia destra e di rado ha saputo esprimersi in velocità e nello stretto. Però ha un paio di ragazzi di ventidue anni che in Italia (e forse non solamente in Italia) nessuno ha: il fresco talento di Pogba e Dybala è la differenza che oggi la squadra di Allegri può fare, ed è impressionante notare come l’argentino sia arrivato alla decima partita consecutiva sulla quale ha lasciato il segno o con un gol o con un assist.