24/01/2016 16:49
IL GIORNALE (T. DAMASCELLI) - C’è stato un momento, qualcosa di più di un momento, in cui Massimiliano Allegri, poteva diventare l’allenatore della Roma. C’è stato un attimo, forse più di un attimo, in cui Luciano Spalletti stava per accettare l’offerta della Juventus. Non è accaduta nessuna delle due cose e infatti oggi stanno di fronte, uno all’altro, in una partita che storicamente è più di una partita e che, oggi, oltre alla classifica, mette in campo le nostre di Champions, dunque roba grossa. Allenatori differenti e uomini diversi, per stile e carattere come possono essere un livornese e un certaldese fiorentino, senza per forza dover tirare in mezzo Modigliani e Boccaccio. Allegri, cito Buffon, si porta appresso, nel lavoro, una sana follia, dove l’ossimoro spiega la bizzarria del toscano di terra e di mare, buon calciatore, capace anche di segnare due gol alla Juventus europea (reduce dalla vittoria in coppa Uefa ne buscò 5 a Pescara!) e «imprevisto» vincitore di scudetti a Milano e a Torino.
Spalletti, di contro, è forse uno dei rari toscani dall’aria meno strafottente e cialtronesca di quasi tutti i suoi sodali del circocalcio; piuttosto, vive di sospetti e timori, permaloso, pensieroso sempre, anche quando passeggia lungo la linea di bordo campo, a capo chino, come Enrico Cuccia a cercare le ragioni dell’essere, geloso della propria dimora che è la squadra, che è lo spogliatoio, che fu, su tutte, la Roma e che ricomincia davvero oggi (dopo la prima con l’Hellas) là dove era finita la sua carriera italiana. Era l’agosto del duemila e nove, quando tre gol bianconeri all’Olimpico (doppietta di Diego e quindi Melo, roba da pazzi in tutti i sensi, illusione ottica brasiliana costata 50 milioni di euro e lì esaurita) portarono Spalletti a presentare le dimissioni a Rosella Sensi. Si scrisse allora che il certaldese avesse rinunciato romanticamente a due anni di contratto ed era la verità. Ma era anche sacrosanto che lo Zenit (“Zinita” come pronunciò in perfetto russo, tra gli applausi, Spalletti alla prima conferenza stampa a San Pietroburgo) gli avesse confezionato sul piatto, caviale per 4 milioni netti all’anno, più di tre volte del menù nostrano. Giustissimo per un professionista sconosciuto da calciatore ma già noto e garantito come allenatore, serio, scrupoloso, a volte maniacale in un mondo spesso e volentieri goliardico. Sei anni dopo, la storia è cambiata, per entrambi, Allegri e Spalletti, così come è cambiata la storia di Juventus e Roma, non più divise da centimetri e duelli tra i delpieristi e i tottisti ma alle prese con il nuovo corso, nuovi presidenti ma lo stesso censo internazionale: la Juventus affronterà il Bayern e la Roma ha voglia di Real Madrid, quasi fosse l’esame per svoltare, il momento per capire se lo specchio è fasullo o sta dicendo la verità. Così stasera, lo ha detto Spalletti, dentro o fuori, lo ha rilanciato Allegri, continuare nella rincorsa al primo posto e basta.
L’uomo di Certaldo ha ritrovato un’Italia e una Roma assediate dalle tivvù, dalle radio, da internet e deve riportare la chiesa non al centro del paese, come annunciò Garcia, semmai riportare il paese romanista in chiesa. Il livornese comincia a sentire le voci straniere, dicono gli inglesi, anzi lo ha scritto il Sun, che il Chelsea gli stia facendo la corte. Lui si è vestito totalmente di bianconero, nella testa, nel dire e nel fare, togliendosi di dosso gli abiti di Antonio Conte, impresa non facile. Juventus-Roma ritorna a essere una partita gustosa anche grazie ai due allenatori, non più un violinista sulla panchina giallorossa, non più un uomo sotto schiaffo dell’ambiente, come l’ultimo Allegri rossonero. Da escludere che i due vadano a cena, la stretta di mano iniziale basta e avanza. Al massimo qualche battuta in toscanaccio.