24/01/2016 14:27
IL MESSAGGERO (M. FERRETTI) - C’era una volta la Roma di Rudi Garcia, quella che il 30 agosto scorso all’Olimpico riuscì a battere la Juventus grazie ai gol bosniaci di Pjanic e Dzeko. Quasi cinque mesi dopo, in panchina non c’è più Garcia e in rosa non ci sono più nemmeno i tre giocatori entrati nella parte finale della partita, Iturbe, Ljajic e Ibarbo. Questo per dire che la Roma che stasera si presenterà allo Stadium è davvero molto differente rispetto a quella della sfida d’andata. In realtà, sarebbe stato meglio se il gruppo fosse stato ancora più diverso, ma il management di Jim Pallotta non ha ancora messo a segno un colpo nel mercato di gennaio e così, per il quarto appuntamento a trattative aperte, si presenterà senza alcun rinforzo. Occasioni perse, non c’è dubbio. Luciano Spalletti ha preso il posto di Rudi e sarà interessante verificare la portata, se non la bontà, del suo lavoro cominciato a Trigoria appena una decina di giorni fa: non gli poteva capitare avversario peggiore per testare il momento della sua squadra ma, al di là di tutto, la Roma non può, non deve dubitare di aver sbagliato nel cambiare il tecnico dopo il Milan. Se mai, con Spalletti si deve lavorare già da oggi anche per il futuro, magari comprandogli in fretta uomini adatti al suo calcio.
IL CROLLO - Domanda: ma Dzeko è uno di questi? Spalletti, cuore d’oro, continua a dire che uno come Edin non lo cambierebbe (quasi...) con nessuno, ma chissà se lo dice perché lo deve dire o perché lo crede realmente. Il bosniaco contro la Juventus all’Olimpico ha segnato il suo unico gol su azione in campionato: quel colpo di testa con Chiellini piantato per terra alle sue spalle gli ha spalancato le porte dei cuori dei tifosi, ma tutto l’incanto è finito lì. La coscienza di Dzeko, scriverebbe oggi Italo Svevo, per tentare di spiegare la sua crisi. Edin è in cima alla lista dei mugugni, il suo rendimento è precipitato come la Borsa cinese e tutta la squadra ne ha risentito: piazzarsi tra Barzagli, Bonucci e Chiellini significa passare una serata di sofferenza, ma chi è cresciuto sotto le bombe di Sarajevo non può avere paura di una marcatura più o meno pesante, spigolosa, cattiva. Anzi, proprio queste sono le occasioni per cacciare via in fantasmi e recuperare il sorriso perduto. Un sogno? «Un vincitore è semplicemente un sognatore che non si è arreso», raccontava Nelson Mandela.