07/01/2016 14:03
LA REPUBBLICA (E. SISTI) - Uno, due, tre flop. Due volte avanti, due volte inetta. Anno nuovo, Roma vecchia. Il Chievo energico e umile di Maran trova sempre un modo per rimettersi in piedi. Il mestiere di buttarsi via è uno dei pochi vanti duraturi della storia agonistica e ambientale della Roma, esso viene tramandato da una generazione all’altra come si fa con certi libri antichi o certe bottiglie che nessuno ha più il coraggio di aprire. Una tradizione ma anche una maledizione. La Roma decimata di Verona offre al Chievo un campionario di suggerimenti autolesionistici così diversi e al tempo stesso così palesi che i clivensi, alla 500esima partita in serie A non potevano non accettare: li hanno sfruttati tutti (offrendone a loro volta). La Roma di Sadiq, l’insicura Roma che avanza a piccoli e stentati passi verso un punto imprecisato, fra illusioni e mediocrità, forte unicamente del suo debole carattere, aveva a sua volta beneficiato della molle partenza dei padroni di casa che attaccando blandamente si esponevano al contropiede dalla parte di Cacciatore. Un furbo lancio di Digne (di testa) apre la strada a Gervinho, il tiro sbilenco diventa un assist per Sadiq. Se il calcio fosse solo statistiche, Sadiq avrebbe già dato scacco matto a Dzeko: 205’ minuti giocati e 2 gol contro i 1.174 minuti giocati e 3 gol dello sfiduciato bosniaco. Quasi involontariamente la Rometta dilaga. Cesar offre a Florenzi una scorribanda al 37’: sullo 0-2 la partita dovrebbe considerarsi chiusa. Ma non c’è da sorprendersi se andrà diversamente, se alla fine del primo tempo la mancanza di abitudine a “leggere” lucidamente fra i dettagli del pallone consente a Maicon, Manolas e Szczesny di regalare a Inglese e Paloschi il gol della speranza. Dov’è la novità? E’ l’antico canovaccio: l’accolita di talento che diventa fumo. E’ la solita Roma “precaria” che sbanda per principio e quando si trova in vantaggio andrebbe a nascondersi dentro la propria porta, pur di non assumersi altre responsabilità offensive. E’ veramente tutto precario in questa Roma organizzata alla rinfusa, non soltanto il tecnico Garcia, che sul 3-2 toglie Sadiq e invoglia gli avversari a farsi sotto e che nonostante questo continua a rifiutarsi di credere che qualcuno stia scuotendo la sua panchina. E’ precario l’organico, precaria l’informazione sul recupero dei malati, precaria la gestione delle partite già vinte e allarmante il ripetersi della circostanza (Leverkusen, Bologna, Torino, Chievo), precario il possesso palla, precaria la sorveglianza della propria area su palle inattive, precari i movimenti generali, così poco armonici quando gli altri aumentano il ritmo e così poco studiati se è vero che Dainelli, autore del 2-2, in libertà assai poco vigiliata, stava per realizzare di piede una doppietta. E non sorprende nemmeno l’articolato finale, col nuovo vantaggio giallorosso di Falque e l’ennesima, deprecabile protezione dei tre punti (il fallo d’ansia di Manolas che genera la punizione di Pepe trasformata in rete dal Goal Line Technology e da Irrati che mostra ai giallorosso l’orologio sul quale ha ricevuto il “sì” per concedere il 3-3). Tutto secondo copione. Incluso il lento sganciarsi dai sogni.