11/02/2016 13:33
IL TEMPO (A. SERAFINI) - Se gli chiedete quale sia stato l'acquisto più importante della sua carriera sicuramente non vi risponderà. Ne ha visti, conosciuti, comprati e lasciati andare via così tanti che sarebbe un'utopia racchiuderli in una banale classifica. C'è stato e probabilmente ci sarà ancora tanto calcio nella vita di Sabatini, anche se la stanchezza e l'esasperazione sembrano ormai aver superato la voglia e la determinazione di continuare a farlo nella capitale.
D'altronde la Roma è già stata l'esperienza più lunga nella sua carriera da direttore sportivo, 5 anni in cui ha avuto modo di conoscere pregi e difetti di questa città, che lo ha applaudito, insultato e giudicato alla stessa velocità con cui spesso ha chiuso gli affari nelle ultime ore del mercato.
Per la prima volta Sabatini ha avuto la possibilità di confrontarsi ad un livello più alto rispetto alle avventure precedenti, con un raggio di manovra che gli ha permesso di lavorare su ogni fronte in piena libertà. «Penso che la Roma sia la mia tappa finale», le sue parole di circa un paio di anni fa, alla metà di un percorso in cui si sono succeduti errori e grandi intuizioni a servizio di una proprietà americana convinta di poter migliorare ogni anno la squadra diminuendo allo stesso tempo il rosso in bilancio. Un compito eseguito dal diesse, costretto a volte nel doversi sobbarcare il peso di una «plusvalenza» che in cuor suo avrebbe sicuramente evitato. Un punto di rottura definitivo passato per gli addii di Lamela, Marquinhos, Benatia e quelli sfiorati (per il momento) di Strootman, Pjanic, Nainggolan e Manolas, le punte di diamante del suo corso in giallorosso.
Ma quella di Re Mida è soltanto una leggenda, perché non tutto si è trasformato in oro. Nel passaggio convulso di circa un centinaio di giocatori che hanno varcato i cancelli di Trigoria, tanti si sono persi non confermando le aspettative di un investimento importante (Iturbe, Doumbia), o hanno frenato la propria corsa di fronte alla guida tecnica, che Sabatini stesso ha scelto e cambiato per 5 volte in 5 anni. Ogni decisione è stata sofferta e accompagnata da lunghe notti in bianco e posaceneri già pieni dopo essere stati appena svuotati, tra un allenamento visto sul tetto del suo ufficio a Trigoria a quello privato all'interno dell'Olimpico dove preferisce vedere la partita in tv rigorosamente da solo. Si è preso anche la stanza più piccola dello studio Tonucci dove non manca mai una stecca di Marlboro rosse, una pasticca per il mal di stomaco e il disordine di un uomo che nel caos ha scoperto genio e follia.
Aspettando la sua decisione finale, l'arrivo di Alisson e Gerson ha già sistemato un pezzo di Roma del futuro: quella che, se non cambierà idea, gli mancherà di più.