22/02/2016 15:10
LA REPUBBLICA (M. PINCI) - Come un altro, celeberrimo conflitto letale, anche questo inizia con un mezzogiorno di fuoco. Soltanto uno spara per colpire, ma alla fine feriti restano tutti: la Roma, Luciano Spalletti, i tifosi. E Francesco Totti. La cronaca di una morte annunciata, quella del rapporto tra il capitano romanista e la squadra che ha rappresentato per 24 anni, si concentra in 32 ore appena.
Sabato, ore 12.10 - E’ passato da poco mezzogiorno, i giornalisti iniziano a riempire la sala stampa di Trigoria in attesa della conferenza di Spalletti fissata per le 12.30. Da lontano, fuori dal bar del centro sportivo, intravedono la sagoma di Totti che si prepara per l’intervista al tg1. Si sparge la voce, “parla il capitano”, ma cosa dirà? Qualcuno teme il ritiro, altri l’esplosione del suo malumore. Avranno ragione loro.
Ore 13.00 - Spalletti risponde all’ultima domanda della sua conferenza. Oggetto del quesito, Francesco Totti. L’allenatore sorride e giura che lo farà giocare titolare in coppia con Dzeko. Una mano tesa. Intanto però sui cellulari dei dirigenti di Trigoria iniziano ad arrivare messaggi preoccupati. E scatta l’allarme: Francesco un paio di colpi li ha sparati, ma nulla di eclatante. Forse l’emergenza viene sottovalutata, anche a Spalletti nessuno lo allerta particolarmente. La squadra pranza a Trigoria, anche Totti, accanto ai compagni ignari della tempesta che sta per abbattersi sulla vigilia di Roma-Palermo.
Ore 17.00 - La squadra ha finito da poco l’allenamento, all’esterno iniziano a filtrare le prime anticipazioni delle dichiarazioni del capitano romanista. Qualche compagno le riceve sul cellulare, e le fa leggere ad altri.
Ore 20.30 - La squadra ha terminato la cena, Spalletti in ufficio ha appena ascoltato le parole di Totti. Gli erano state raccontate come dure, ma non deflagranti. E invece dopo averle sentite è furioso. Decide di parlare con i dirigenti e fa presente che da una situazione così non si scappa: 'o Totti resta a casa oppure me ne posso anche andare, come faccio a presentarmi nello spogliatoio?', il senso del suo pensiero. La notte la passano, lui e Totti, a Trigoria: divisi da pochi metri, ma lontanissimi, inavvicinabili.
Domenica, ore 10.00 - La squadra ha finito già da un po’ la colazione e Spalletti chiama nel suo ufficio Totti. Gli chiede se pensi davvero quello che ha detto. Gli spiega, animatamente, che quelle frasi sono diventate una fonte di distrazione per la squadra a poche ore dalla partita. Gli comunica che non sarà della partita, “se vuoi resta sennò torna a casa”. Scappa qualche frase colorita, pure un paio di “vaffa”. Poi Totti esce dall’ufficio dell’allenatore e va a cambiarsi.
Ore 11.00 - Alle radio la gente è esterrefatta dalle frasi di Totti. Il coro è quasi unanime: “Ci sentiamo traditi, per noi è come un figlio ma ora sembra che a lui non importi della Roma”. Nei sondaggi in rete anche l’80 per cento dei tifosi si schiera contro il capitano romanista e a difesa di Spalletti.
Ore 12.00 - A Trigoria Totti ha già parlato con i compagni raccontandogli che non sarà della partita, e spiegandogli di ritenere di non aver offeso nessuno. Incassa qualche “mi dispiace”, ma i compagni decidono di non prendere posizione. A quel punto il numero dieci si avvia verso la sua villa dell’Eur, solo. Proprio in quei minuti, la notizia della sua esclusione diventa di dominio pubblico. Il tam tam invade le radio.
Ore 16.00 - I calciatori guardano le partite, qualcuno riposa. Intanto sui social e alle radio romane il vento inizia a cambiare: la notizia di Totti rispedito a casa altera il giudizio di molti. Lo stravolge. “Non si tratta così una leggenda”, “La Roma è lui, lo hanno cacciato da casa sua”. Il consenso per il numero 10 cresce, la città si spacca. Alcuni tifosi sotto casa di Totti gli dedicano una frase d’amore. Il club nonostante tante richieste continua a tacere: “Parleremo prima della partita”.
Ore 20.00: La squadra è nello spogliatoio, Totti in abiti borghesi la raggiunge. Quando lo speaker dello stadio scandisce il nome di Spalletti la curva sud lo copre di fischi. Tempo cinque minuti e Totti prende posto in tribuna, accompagnato dal coro “un capitano, c’è solo un capitano” che rimbomba da gran parte dello stadio. A chi gli chiede se gli abbiano fatto passare la voglia, sorride. Qualcuno prova a fischiare chi canta, ma si sente poco: nella folle guerra civile romanista, la gente ha scelto da che parte stare.