IL PUNTO DEL LUNEDÌ - Caputi, Sconcerti, Garlando, Ciriello

22/02/2016 17:42

LAROMA24.IT - La Roma vince quinta partita consecutiva grazie alle 5 reti rifilate al Palermo del richiamato tecnico Iachini e continua la sua rincorsa al terzo posto. Ma i 3 punti di ieri rischiano di passare in secondo piano dopo la tempesta che si è scatenata in seguito all'intervista rilasciato sabato da .

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Ecco i commenti di alcuni degli opinionisti più importanti della stampa, pubblicati sulle colonne dei quotidiani oggi in edicola.
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IL MESSAGGERO (M. CAPUTI)

Da qualunque parte la si voglia guardare è proprio una brutta storia. Con non doveva e non può finire così. Come si è potuti arrivare a questo punto? Possibile che la società in tutti questi mesi non si sia preoccupata di gestire e curare in ogni minimo dettaglio la questione ? Si è possibile. E il risultato è amaramente davanti gli occhi di tutti. Tra i tanti sentimenti quello che meglio rappresenta la situazione è la tristezza. Tristezza per il costretto a esternare il suo malessere e che lascia il ritiro, tristezza per una tifoseria disorientata e che si divide su da che parte stare. Tristezza perchè comunque un giorno smetterà di fare il calciatore. Non deve però essere questo il finale. con i suoi messaggi e le sue scelte, quindi Francesco con l’intervista, hanno fatto emergere il fuoco che da tempo covava sotto la cenere. Come chiesto giustamente da servono rispetto e correttezza. è in arrivo: è ora dunque che qualcuno dei dirigenti della Roma, non attraverso , abbia il coraggio di dire la verità. Mentre la à” brucia”, la squadra giallorossa va in campo e lotta per la conquista di un preziossisimo terzo posto. La reazione allo tsnumani della vicenda è stata più che positiva: dal risultato, alle doppiette di (finalmente) e . Per chi non lo ricordasse, al disopra di tutto, c’è il bene della Roma. Una squadra che, dal buio in cui era sprofondata, sta via via risalendo verso la luce. La stessa che, per pochi ma intensi minuti, ha accarezzato il ritorno in campo di . Rivederlo sul prato verde è un iniezione di entusiasmo, proprio quello di cui squadra e tifosi hanno assoluto bisogno. La conquista del terzo posto non sarà semplice, e , in attesa del Milan, mantengono le posizioni. Il calendario le da una mano: la Roma andrà ad Empoli, mentre la affronterà in casa il , l’, in trasferta, la .

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IL CORRIERE DELLA SERA (M. SCONCERTI)

ha diritto a molte cose, ma la prima chiarezza deve farla lui: vuole continuare a giocare? Se vuole questo, deve capire che è una chiarezza opaca in partenza. Né , né , né la società lo accreditano di essere più un giocatore importante. Può darsi sbaglino tutti, ma questa è la realtà. lo teneva fuori, anche. La società ha comprato un altro centravanti al suo posto. Si può dire sia una realtà non gradita a , ma non che non ci sia chiarezza. ha improvvisamente alzato il tiro proprio perché ha capito che una scelta la Roma l’ha già fatta. E non gli piace. La Roma semmai stava aspettando proprio questo, che capisse da solo la fine del tempo. I problemi allora sono due: la sua volontà di continuare a giocare e il suo ruolo nella Roma non da giocatore. La prima sta diventando una scelta personale. Del Piero è emigrato, Nesta anche, perfino Beckham. Forse mettere uno stop è la situazione migliore, permette a tutti di continuare a vivere senza rendere traumatica la fine. Ma per un vecchio ragazzo che ha sempre seguito le stesse regole (il gruppo, il ritiro, gli orari, le partite, il divertimento, il sacrificio, la Terra che gira intorno al Sole) cambiarle è quasi inconcepibile. Non conosce altra vita. È molto peggio di un pensionamento, è l’interruzione violenta della propria storia. Il problema dunque diventa il dopo, come continuare a «essere» la Roma a tempo indeterminato. Questo è molto più complesso, passa da stipendi inferiori e una responsabilità di ruolo da definire. Basta a rappresentare l’immagine della Roma? O vuole gestirla? Qui è il caso di essere chiari: non può gestire la Roma né essere un dirigente troppo operativo. è un genio, sa fare una cosa sola. La Roma è un altro mondo, significa soldi non suoi, affari mai fatti, rapporti mai avuti. Non si può brillare con i soldi degli altri. Si può dare una mano e accompagnare l’avventura. Ma il resto non può che andare avanti da solo. È sempre stato così. La svolta dura presa dai fatti in compenso può solo aiutare il compromesso. In un giorno è già successo tutto. Ora si può solo ricucire.

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LA GAZZETTA DELLO SPORT (L. GARLANDO)

(...) Alle nostre più nobili bandiere del calcio recente è andata peggio: Paolo Maldini contestato dalla sua curva; Ale Del Piero rottamato durante un Cda; bandito dall’arcangelo dal paradiso di Trigoria di cui era dio. Certo, esagera un filo chi paragona l’evento all’ipotesi di un Papa cacciato dal Vaticano, ma il popolo romanista che ha vissuto per oltre 20 anni l’unicità di un rapporto d’amore senza paragoni vive ore traumatiche. Un altro Sacco di Roma. che lascia Trigoria vale i Lanzichenecchi che entrano nell’Urbe. Per tanti innamorati, rinunciare a vorrebbe dire spegnere di colpo la colonna sonora della propria vita, datata con le prodezze del : il primo figlio all’epoca del cucchiaio di San Siro, l’auto nuova quando segnò al Bernabeu, l’aumento quando mostrò le 4 dita a Tudor... Vorrebbe dire invecchiare di colpo, perché finché Francesco è in campo è tutto come 20 anni fa.

Al culmine della gloria, campione del mondo nel 2006, si mise un cappello giallorosso in testa e ribadì che una vittoria con la Roma lo avrebbe emozionato di più. Un’inattaccabile priorità di valori consacrata da una monogamia calcistica che ha sempre anteposto il bene della Roma agli interessi personali di carriera, Pallone d’Oro compreso. In cambio di tanta fede, Roma ha fatto di un re, di più, un imperatore divinizzato, superiore alla legge degli uomini, infallibile e indiscutibile. Il paragone con Maldini e Del Piero qui non regge più. Un dio non si contesta né si rottama in un Cda. non avrebbe mai potuto permettersi la perentorietà di Agnelli. La decisione di di umanizzarlo di colpo, trattandolo al pari degli altri, è stata colta come atto blasfemo. Per questo ha parlato di «mancanza di rispetto». , che si è giustificato con la deontologia professionale («Gestisco la Roma, non »), poteva usare maggior tatto? Non bastava la panchina invece del bando plateale per un giocatore che non sarà mai come gli altri? Forse sì. La deontologia non esclude il buon senso.

Ma esiste anche un’altra forma di rispetto: quella che il campione deve a se stesso e all’immagine che i tifosi che lo amano hanno di lui. Un idolo smette di appartenere solo a se stesso: è di tutti e a tutti deve rendere conto. Il grande numero 10 che costringeva San Siro e il Bernabeu alla standing ovation non può ridursi a un passeggiatore di centrocampo o a una caricatura che palleggia con i raccattapalle e fa scherzi in panchina a . C’è chi soffre a vederlo così. Un triste prolungamento di carriera toglie più che aggiungere. Meglio se Buffalo Bill non avesse mai sparato al circo. La gratitudine si esprime con la memoria e magari con un ruolo in società, non con l’eternità in campo per diritto divino. È vero, i piedi non invecchiano. Abbiamo visto Luisito Suarez a 60 anni fare lanci di 40 metri a piedi nudi alla Pinetina che Medel se li sogna, ma nel calcio dell’intensità e del pressing alto non si può più giocare da fermi. e la società hanno tutto il diritto di pretendere la Roma più aggressiva e competitiva. Francesco, ancora una volta, pensi al bene della Roma; pensi ai saggi consigli di Ilary; pensi a Platini e Zidane, che con l’intuizione dei grandi numeri 10, lasciarono da titolari in nazionale. E consideri che stavolta non tutto il popolo si è schierato dalla sua parte. Noi ci auguriamo soltanto che la meravigliosa storia d’amore tra e la Roma non degeneri nella volgarità. E che magari nel cielo di Trigoria transiti una mongolfiera.

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IL MATTINO (M. CIRIELLO)

FrancescoTotti prima che un calciatore è un sentimento popolare, che si è annodato a Roma e alla romanità. Per questo ogni cosa che lo riguarda non può essere una cosa normale. E' l'ultima vera bandiera del calcio italiano. La sua discesa in campo è stata fondamentale per la Roma e per il pallone, non è un caso che il nodo più critico del mondiale tedesco nel 2006 l'abbia sciolto lui, con un rigore al novantesimo contro l'Australia, liberandoci verso il titolo. Lippi lo aveva aspettato, e lo vorrebbe veder giocare fino a 50 anni (in Cina, forse). Non è un caso che lo scudetto alla Roma sia tornato con lui, e le stagioni migliori degli ultimi trent'anni della squadra gli appartengano. Insomma, ha ragione quando dice: «Io non posso finire così». E prima con una frase da commedia di Ettore Scola aveva detto a un giornalista spagnolo che reclamava una battuta per la partita col : «Che ce fai con me oramai?» Forse disegnandosi un involontario futuro cinematografico. Ma non vuole smettere, e per questo ha rilasciato una intervista alla Rai dove reclama rispetto, e il suo nuovo allenatore , vistosi scavalcato, l'ha cacciato dal ritiro e messo fuori squadra.

Il contesto è che la Roma ha una presidenza negli Stati Uniti (James ) e vari delegati nella capitale, indistinti e forse senza cuore. Sì, perché siamo al solito bivio: ragione e sentimento, e la ragione quasi mai cede il passo ai sentimenti. Così, il sentimento popolare, , rischia di fare la fine del fiaianesco marziano innestandosi sui canoni arbasiniani, e passando innaturalmente come solo lo sport sa fare: da venerato maestro a solito stronzo, e per di più annoiando il pubblico pagante e non: per un esaurimento di stupore. A guardarlo col cuore, aggrappato ai campi, mentre le partite in tivù vengono introdotte da un suo spot dove recita un agente alla James Bond ma col numero dieci sulle spalle, fa molta tenerezza, e a vederlo negli ultimi scampoli di partita, come un esordiente, pure. Un cavallo azzoppato che prova ancora a piazzarsi. (...)

Poi la crisi della squadra, il ritorno di , e il bisogno di un pragmatismo che non può permettersi la vecchia gloria. Bisognava dirglielo prima, oppure misurarlo davvero fino a mostrargli il limite, mediare, trovare una soluzione, perché va bene tutto, ma conterà qualcosa anche l'essere stato e il provare a essere ancora, o no? si impegna, sfoggia un fisico non da pensionato, ed ha ancora molti numeri, ma il problema è che spesso la sua indolenza in campo prevale sullo spirito di esserci. Potrebbe ancora starci, in misura minore. Ora che per la prima volta si pente di non essere andato al , di aver incarnato er core de Roma, lo stesso che è in quota statunitense e guarda dall'altra parte. E' una storia sbagliata, difficile, ma meritava un linguaggio e dei gesti diversi. ha usato un metodo putiniano, per un uomo che forse meritava una chiacchierata alla Aldo Fabrizi. E' mancata proprio la romanità, quell'elasticità accomodante che la capitale da secoli insegna a tutti: barbari e non. La capacità di inclusione, che poi è il limite di . Troppo, troppo romano. Al punto di pensarsi eterno. Senza prendere in considerazione la fine. E sempre difficile tornarsene a casa dopo una vita spesa per i campi di pallone da protagonista, per questo chi ha beneficiato di quei passaggi in tutti questi anni, doveva preparare meglio l'uscita, che è divenuta cacciata. Forse c'era una strategia, forse no. Nel secondo caso è anche peggio, perché la sciatteria è maggiore. Pensare a come un problema e non come un mondo, è da stupidi. Che debba ricorrere a uno sfogo per essere visto è assurdo e può accadere solo nel calcio italiano. Poi, buttare via la propria bandiera - in un calcio senza bandiere - significa cancellare la propria storia.