04/02/2016 13:34
IL TEMPO (A. AUSTINI) - Fino a poco tempo fa la Roma lo «disgustava» (parole sue), nel giro di tre settimane Pallotta ha ritrovato il gusto di seguire le partite, seppur da lontano. La cura Spalletti sta funzionando, anche prima del previsto: sette punti in quattro gare (ma distanza da Inter e Fiorentina invariata), sei gol segnati contro tre subiti e soprattutto una crescita già visibile in termini di qualità di gioco e identità tattica.
Dall’America il messaggio è carico d’entusiasmo: «Da quando sono presidente - ammette Pallotta - non ho mai visto lavorare così tanto a Trigoria. È fantastico quello che sta facendo Spalletti con i singoli giocatori e con il gruppo. Questo processo porterà conseguenze positive più avanti». Una promozione senza riserve del nuovo allenatore e una bocciatura non troppo velata a Garcia, evidentemente troppo «morbido» nella gestione dello spogliatoio.
L’impatto del toscano, invece, ha sbalordito tutti, con la sua attenzione maniacale ai dettagli, le sedute super-intense anche nei giorni seguenti alle partite, e una carica emotiva impressionante. Bastava seguirlo in panchina martedì: ha rischiato di farsi espellere per la reazione di rabbia dopo l’occasione di Maicon, ha aspettato Keita all’intervallo per fargli una ramanzina tattica, non appena saputa l’entità del recupero ha detto a El Shaarawy: «Questi quattro minuti sono tutti tuoi». E il Faraone ha eseguito, mentre Gyomber si sentiva chiedere dall’allenatore in inglese: «Where do you want to go?», «Dove pensi di andare?».
Tra i tanti aspetti che sono cambiati nella gestione della Roma, c’è il maggiore coinvolgimento di tutto lo staff da parte di Spalletti. Li sta spronando uno per uno, dai medici ai preparatori fino agli «analisti», incappando anche in qualche incomprensione nelle dichiarazioni (vedi la frase sul dottore che «deve essere da Roma» poi precisata a Reggio Emilia): da ogni figura professionale il toscano pretende il massimo. Al contrario di Garcia, che li ascoltava ma poi preferiva seguire i consigli del collaboratore Bompard, Spalletti prepara le partite con il video analyst Beccaccioli in modo approfondito e, insieme a Sabatini, si avvale del database curato dagli scout Francesco Vallone e Jessi Fioranelli. «Lo sta aiutando il nostro "data team" - conferma Pallotta - e gli investimenti che abbiamo fatto in questo settore. Mi fa molto piacere vedere il nostro allenatore chiedere informazioni e collaborare con gli assistenti».
Del sistema informatico sui giocatori si occupa anche Alex Zecca, il braccio destro di Pallotta che da qualche tempo passa una settimana al mese a Trigoria, segue gli allenamenti da bordo campo e informa il presidente. Insomma la proprietà si sente sempre più coinvolta, anche se il settore tecnico resta saldamente nelle mani di Sabatini tuttora padrone del suo destino. L’arrivo di Spalletti ha restituito entusiasmo al diesse, così come le prestazioni subito positive dei nuovi acquisti El Shaarawy (due gol in due partite), Perotti e Zukanovic.
Adesso alla Roma serve recuperare i suoi leader, a cominciare da Strootman: domani giocherà un tempo con la Primavera, previsto poi un altro test con i baby e il rientro in pianta stabile in gruppo da metà febbraio. Per Dzeko il vero blocco è di natura mentale piuttosto che fisica, idem per Florenzi, che Spalletti ha spronato in modo brusco per alcuni atteggiamenti non graditi. Intanto il tecnico sta facendo un gran lavoro psicologico su Maicon (un po’ bastone e un po’ carota) e aspetta con ansia di poter utilizzare il giovane Nura di cui si è innamorato.
Se poi i tifosi tornassero a riempire lo stadio sarebbe più facile volare: nove partite sulle quindici mancanti in campionato si giocano all’Olimpico. Una volta era un fattore decisivo per la Roma, adesso non più.