18/02/2016 13:17
LA REPUBBLICA (E. SISTI) - La partita la sblocca lui, anzi la spacca come un cocomero. Lui, l’antipatico dai colpi celesti. Lo fa con un capolavoro multiplo. Accelerazione, dribbling di tacco a rientrare e destro a giro che scende come un arcobaleno (12’ st). In poche parole, il calcio che vorresti vedere sempre, tranne quando l’altro, quello che paga, sei tu. Ma è anche il calcio che pochi sanno offrire e pochi quando conta e pochissimi quando può decidere un ottavo di Champions. Uno di questi è Ronaldo, sublime scontroso di un altro pianeta. Poi raddoppierà Jesé nel finale, appena entrato, con un altro gesto di rabbia e qualità mescolate (41’st). La Roma torna piccola, ma sono proporzioni ingiuste. Finisce 2-0 per il Real Madrid. Niente da dire sul secondo tempo degli spagnoli, bruciante, cattivo, spietato, protetti da un sontuoso Sergio Ramos, sempre pronti a colpire il lato debole dei giallorossi, la zona del povero Florenzi, che ha fatto tanto ma poteva non bastare e non è bastato. La Roma meritava di più, in svantaggio ha svuotato la soffitta, ha messo tutto sul piatto, ricordi, slanci, memorie ed energie residue, è andata vicina al gol, Salah ha allisciato i capelli a Marcelo, ma a quel punto le distanze fra i giocatori s’erano allungate e la convinzione non era più un sostegno psicologico.
Però la Roma avrebbe almeno meritato che l’arbitro ceco Kralovec le concedesse due santi rigori per i falli di Navas su El Shaarawy e di Carvajal su Florenzi. Ma ormai è andata. La partita, la qualificazione (salvo miracoli). Restano dignità e coraggio. Ci hanno provato, i ragazzi ormai evoluti di Spalletti, dotati uno stile permanente che non deflette più di fronte a una grande o in una grande occasione, ormai è gente di carattere. Hanno disputato una partita in cui l’amore per ciò che facevano si è combinato alla qualità dell’applicazione e all’intensità. Spalletti aveva scelto di mettersi a specchio con un 4-3-3 con Perotti (o Nainggolan) falsi nove (Dzeko in panchina). Pensava di soffrire e di giocarsela a viso aperto. Avrà pensato: se questi sono più forti e se è scritto (da qualche parte) che dobbiamo perdere allora perché non proviamo a vincere? Lascia qualche giocatore alto pronto al pressing immediato e alla ripartenza laddove possibile. Primo tempo ad armi pari, senza farsi del male. La Roma sale di livello, Garcia è solo un ricordo, e il Real Madrid accetta la sfida. Ma per 45 minuti è solo un rigirarsi di progetti, di azioni non terminate, partita divertente ma niente occasioni, a parte un tiro spiovente di Marcelo. Da mesi non si vedeva l’Olimpico così pieno. E’ una tremenda spinta elevatrice e la Roma ne risente, in positivo. All’inno cantato dal suo pubblico persino Placido Domingo, che spesso a Castel S. Angelo moriva disperato da Cavaradossi, ha approvato con una smorfia sorridente. Nella Roma ci sono ragazzi che giocano da Real Madrid, come Perotti, che avrebbe fatto gola a Ferguson.
Ma il Real Madrid ha qualche freccia in più, una in particolare e sappiamo chi è. Eccentrico, spaccone, lo accusano di non segnare abbastanza fuori casa, ficcano il naso nei suoi affari, lo prendono in giro perché spende un botto per comprarsi case che non userà mai, gli domandano le cose più assurde sulla sua vita privata, perché vai sempre in Marocco, perché vai in giro con quegli occhiali o quella macchina, dov’è tuo figlio, con chi esci stasera e poi si può sapere perché dissemini Facebook di foto con tua madre? Quello che volete. Ma quando serve torna Pallone d’Oro. E tutti s’inchinano. Altro che fischi.