21/03/2016 12:22
IL TEMPO (A. AUSTINI) - Surreale. Difficile definire diversamente il siparietto andato in scena nella «zona mista» dell’Olimpico sabato notte. Un direttore sportivo, Sabatini, che ribadisce le sue dimissioni dal 30 giugno e un allenatore, Spalletti, che lo affianca durante l’intervista e lo rimprovera «perché è sbagliato dire certe cose adesso, si disperdono energie». Il tutto fra battute e sorrisi: il problema non è certo fra di loro.
La Roma si conferma una società «sui generis», abituata a lavare i panni sporchi in pubblico con fin troppa naturalezza. Stavolta è andata davvero oltre i limiti dell’immaginabile, lasciando aperti tanti dubbi su cosa accadrà nel futuro immediato. Il discorso di Sabatini, salvo i possibili «cataclismi» da lui stesso invocati, è stato d’addio. «Roma è la mia vita, mi dispiace non aver vinto - ha ammesso il dirigente - ma adesso Spalletti sta riuscendo a fare quella rivoluzione culturale che ho provato a portare io cinque anni fa». Lo hanno cercato Bologna e Inter, ma non ha ancora accettato nessun nuovo incarico e intende guidare il mercato giallorosso fino al 30 giugno, quando lascerà con un anno d’anticipo rispetto alla scadenza del contratto insieme al suo inseparabile vice Massara. Uscendo allo scoperto pubblicamente Sabatini ha voluto sollecitare la firma delle dimissioni formali per sentirsi libero da vincoli. Contrattuali e morali.
Pallotta è «sostanzialmente d’accordo» e durante la sua visita romana non ha fatto nulla per convincere il direttore sportivo a restare. Anzi, i due si sono evitati. I contrasti tra la proprietà americana e il direttore sportivo sono alla base della frattura ormai insanabile dopo che almeno altre due volte in passato si erano già sfiorate le dimissioni. Tante discussioni sul mercato, ultima quella su Perotti acquistato solo il penultimo giorno disponibile per le continue frenate imposte da Pallotta. Ma c’è dell’altro. Il diesse sopporta malvolentieri la figura di Alex Zecca, braccio destro del presidente, sempre più presente a Trigoria. L’uomo delle «statistiche», che chiede di essere coinvolto nella gestione della squadra, senza l’intenzione di scavalcare nessuno ma a Sabatini non sta bene lo stesso.
C’è anche qualche «fantasma» nella testa del tormentato Walter, convinto che le ingerenze degli americani siano più grandi di quanto accada in realtà. In fondo, tutti gli acquisti di questi cinque anni sono suoi e le scelte strategiche (allenatori compresi) le ha guidate lui. E nessuno da Boston ha parlato di una «buonuscita» da discutere col diesse, eppure Sabatini ha voluto precisare di non averla mai chiesta.
L’ultimo scontro a distanza col presidente riguarda Totti. Una volta deciso di non rinnovargli il contratto da calciatore, il dirigente umbro avrebbe preferito una presa di posizione più netta del presidente. Una questione di chiarezza e di rispetto nei confronti del capitano. Pallotta ha scelto invece di rinviare qualsiasi annuncio, lasciando Totti a riflettere qualche altra settimana. Il risultato è una questione ancora apertissima, col numero 10 pronto a «esplodere» di nuovo, a valutare un addio definitivo alla Roma. A meno che Pallotta, alla fine, non si decida ad accontentarlo.
In tutto questo c’è un terzo posto da difendere in campionato e una nuova stagione da impostare. Sabatini sta continuando ad avviare acquisti e cessioni, il dg Baldissoni ha il ruolo di tenere uniti i pezzi della società, senza dimenticare che il suo contratto scade a giugno e non ha ancora firmato il rinnovo. «Se non resta almeno lui la Roma finisce male» continuano a sussurrare in diversi dentro Trigoria.
La fila di chi si auto-candida attraverso intermediari per il posto di Sabatini è già lunga. Da Branca a Gerolin, da Carli a Braida, da Berta a Perinetti, il futuro direttore sportivo ha mille facce. Ma la prima domanda da farsi è: chi lo sceglierà? Il resto viene dopo.