GAZZETTA.IT (C. ZUCCHELLI) - Prima la battuta:
“Sono contento di aver fatto alla Lazio due gol in due partite, magari si potesse giocare il derby tutti i giorni...”. Poi, l’amara verità:
“È difficile stare in panchina per me, Spalletti lo sa, ne abbiamo parlato. Ma accetto le decisioni da professionista”. Se il risveglio di
Edin Dzeko, stamattina, è stato sereno, con tanto di foto pubblicata su Instagram di lui che esulta con De Rossi, la domenica del bosniaco è stata a due facce: prima la delusione, a Trigoria, quando ha saputo che sarebbe finito ancora una volta in panchina (come già successo contro Fiorentina, Inter e Real Madrid in casa), poi la soddisfazione quando è entrato in campo e ha segnato l’ottavo gol in campionato, decimo complessivo, il quinto nelle ultime sette presenze.
RESTARE O NO? — Dzeko non si è nascosto, Spalletti neanche: “Edin quando entra fa quello che deve fare, ha fatto un gol bello perché è vero che la porta era vuota, ma la palla aveva rimbalzato male. Deve continuare così”. La domanda, però, a questo punto è lecita: continuare fino a fine stagione e poi salutarsi o darsi ancora una possibilità?
L’attaccante bosniaco ha offerte dalla Cina (ipotesi poco gradita), dalla Turchia e piace molto anche in Premier (destinazione preferita), ma la Roma non è convinta di volersene privare e lui stesso fatica ad accettare l’idea di andar via dopo solo un anno. Infatti, a Mediaset, ci tiene a ribadire:
“Io sono qui e qui voglio restare”.
IL PRECEDENTE — Impossibile, però, non tornare con la mente
ai tempi del City, quando Mancini lo faceva entrare dalla panchina e Dzeko si arrabbiava moltissimo. Una volta l’allenatore italiano, dopo una rete al Tottenham, spiegò:
“Edin per noi è fondamentale, ma continuerà a partire dalla panchina e schianterà gli avversari a partita in corso con il suo ingresso in campo”. Era il 2012, quattro anni dopo la storia, dall’Inghilterra all’Italia, sembra ripetersi. A Manchester lo chiamavano
“super-sub” perché entrando in corsa segnava. Ma a lui, come ha detto in un’intervista alla “Gazzetta” a fine ottobre, questo soprannome non è mai piaciuto troppo. Ieri come oggi.