14/05/2016 14:06
IL TEMPO (A. AUSTINI) - Nel 2006 la sua prima partita dentro il San Siro milanista da allenatore della Roma la perse, ma non sapeva ancora che il terremoto di Calciopoli lo avrebbe portato dritto in Champions. Oggi, quasi sicuramente, non basterà vincere contro i «resti» dell’armata rossonera: nell’ultima giornata di campionato si assegna il secondo posto e solo un suicidio sportivo del Napoli in casa con il Frosinone può cambiare un finale ormai scritto. Ma Spalletti ha voluto preparare la partita dei giallorossi come se fosse decisiva. «Quando è finita si torna tutti insieme a Roma, non si rimane a Milano», annuncia alla vigilia e non è una frase banale: qualcuno fra i giocatori, come spesso accade, sarebbe rimasto volentieri a godersi il sabato sera nei locali milanesi ma il tecnico ha stoppato i programmi di festa nonostante si tratti del capitolo finale di un campionato ripreso per i capelli, che avrà una coda nell'amichevole di venerdì ad Abu Dhabi. «Noi abbiamo il dovere di provarci - spiega il tecnico, accompagnato nella trasferta dai dirigenti Baldissoni e Zecca - perché ancora non c'è la matematica per il secondo posto. Bisogna mantenere la solidità mentale anche se l’evidenza dice che ormai i giochi sono fatti. Da quando sono arrivato i miei calciatori sono stati grandiosi e sono sicuro che lo resteranno fino in fondo». Poi chiede che vengano «sparsi sui giornali i nostri numeri per ricordare quanti punti abbiamo recuperato alle grandi squadre».
Aspettando l’epilogo di San Siro nel girone di ritorno solo la Juve ne ha fatti 6 in più della Roma, che ne ha invece guadagnati 5 al Napoli, 15 all’Inter e 20 alla Fiorentina. «Si arriva terzi ma abbiamo fatto il massimo e sono convinto che questa squadra abbia potenzialità importanti. I confronti con la Juve li faremo quando servirà». Insomma tutta un’altra musica rispetto al Garcia di fine stagione un anno fa, che disse convinto: «Il gap con i bianconeri aumenterà». L’inizio della sua fine. Spalletti si mostra addirittura sollevato dalla prospettiva di giocare il temibile playoff di Champions ad agosto. «Secondo me è uno vantaggio. Si comincia subito con le partite vere, senza "arrotolarsi" durante le giornate sull'erbetta del campo. È meglio avere subito obiettivi tosti, si fa prima la sintesi». Detto questo, è ovvio che firmerebbe per chiudere secondo e per tenere alta la concentrazione dei suoi evita di parlare del futuro. «Fino al termine di Milan-Roma non parlo della prossima stagione. Lo faremo martedì a Trigoria (alla presentazione del ritiro di Pinzolo, ndr), non devo deviare l’attenzione della squadra».
Non dice se Dzeko giocherà al posto dell’infortunato Perotti, rimasto a casa insieme a Gyomber, Vainqueur e Uçan, (pare orientato a preferirgli Totti dal 1’), né se conta sul centravanti bosniaco per l’anno prossimo, ma svela la strada tattica della Roma che verrà: «Per migliorare non dovremo avere un modulo fisso e farne diversi senza accorgersene. Meno rigidità dei ruoli e più giochi di posizione». Uno Spalletti positivo, insomma, tranne quando si parla della tournée negli Usa ordinata dalla società. «I viaggi costano fatica quanto una partita. Contribuire alla conoscenza del club però è obbligatorio e io mi arrabbio quando i giocatori non si fermano qui fuori a firmare gli autografi. Certo, sarebbe meglio poter giocare le amichevoli in due giorni di seguito, così si usano tutti e 24 i ragazzi». Così non sarà, ma il calcio ai tempi del marketing sfrenato non permette deroghe.