“Nessun verdetto mi ridarà mio figlio ma per quell’uomo non provo odio”

25/05/2016 14:03

LA REPUBBLICA (F. ANGELI) - «Mia nipote di 12 anni mi ha appena scritto un sms: “Andrà tutto bene, ti amo”». Sorride Antonella Leardi, la mamma di Ciro Esposito, tre minuti prima che la III Corte d’Assise, riunita in camera di consiglio, rientri in aula per leggere la sentenza. E mentre sorride stringe forte tra le mani il cellulare con l’immagine del figlio stampata sulla custodia plastificata. Alle 13.30, puntuale, arriva la sentenza.
Signora Leandri, 26 anni per l’assassino di suo figlio, è soddisfatta?
«Si può essere soddisfatti quando ormai si è perso un figlio? No, una madre a cui uccidono un figlio non può mai essere abbastanza soddisfatta, nessun anno di galera potrà mai restituirmelo. Posso però dire che la giustizia è stata giusta».
Cosa intende?
«La mia vita non è più la stessa, nulla potrà mai ripagare ciò che era mio figlio. Ma sa cosa mi dà quel briciolo di soddisfazione? Il fatto che questa sentenza possa essere un monito e che altre mamme non soffrano più solo perché il figlio decide di andare a vedere una partita di pallone. Lo sport deve essere divertimento, allegria; tragedie così non devono più accadere. E allora sì, da questo punto di vista posso affermare di avere una piccola soddisfazione».
I pubblici ministeri avevano chiesto l’ergastolo però.
«Tecnicamente la condanna di oggi è come se lo fosse, un ergastolo. Se devo essere sincera questo processo è stato guidato in modo egregio e assistere alle udienze mi ha ridato tanta speranza e fiducia, quella che mi dava Ciro quando era vivo. Le prove portate in quest’aula sono state tante e non poteva che finire con una condanna. Questa mattina poi ero serena e questo è stato un segno divino che tutto sarebbe andato bene secondo giustizia. E così è stato».
Cosa prova nei confronti di Daniele ?
«Io Daniele l’ho perdonato il 4 maggio, il giorno dopo gli scontri, non ho mai provato odio per lui ma ho sempre preteso giustizia. Ed è questo atteggiamento secondo me quello più giusto per onorare mio figlio, nato e cresciuto nell’amore e nel rispetto altrui ».
Come fa a trovare tutta questa forza?
«All’odio non si risponde con altro odio. Vede, Ciro è stato ucciso per odio, in un contesto di estremo astio legato a una diversa veduta tra tifoserie. Se io provassi odio, quel sentimento che mi ha portato via mio figlio, quel sentimento stupido che non porta a nulla e da nessuna parte, sarei uguale a chi ha premuto quel grilletto. Io non sono così e questo dolore immenso che provo non ha cambiato il mio modo di essere».
Perdonare aiuta a superare il dolore?
«Sì, io voglio costruire un futuro migliore, voglio che queste tragedie immani non accadano più. Ed è questo che mi fa andare avanti a testa alta, con dignità e sopravvivere a un qualcosa che ti uccide dentro».
Sabato scorso a Roma c’è stato un accoltellamento dopo la finale di Coppa Italia. È sicura che una sentenza possa essere un monito?
«Non ne sono sicura ma ci spero. Ventisei anni chiusi in un carcere sono tanti. Spero che tutti possano riflettere su questo prima di impugnare un’arma per una partita di pallone».
La pensano così anche gli altri suoi due figli?
«Li ho educati così. Oggi siamo stati in quest’aula per un dovere verso Ciro che è sempre con no; lui era quello di mezzo dei tre figli, il suo sogno era andare a vivere in Inghilterra con la fidanzata. Avrebbe compiuto 31 anni se non me lo avessero portato via».