25/05/2016 13:49
IL MESSAGGERO (V. ERRANTE) - Le urla sono quelle dei tifosi napoletani, arrivano dal pubblico: il presidente della terza Corte d'Assise, Evelina Canale, ha appena chiuso il primo grado del processo a Daniele De Santis, Gastone, l'ultrà romanista accusato di avere ferito a morte Ciro Esposito nel pomeriggio di guerriglia e follia che ha preceduto l'incontro di Coppa Italia del 2014. Ventisei anni di reclusione per omicidio, rissa, lesioni, porto e detenzione di arma da fuoco e possesso di materiale esplodente. «Devi marcire in carcere», gridano i tifosi azzurri, come sugli spalti. Rimane composta, invece, Antonella Leardi, la mamma di Ciro, immobile. E neppure De Santis, disteso su una barella per le ferite riportate in quel giorno di maggio, mostra reazioni. I giudici hanno complessivamente accolto la tesi dei pm Eugenio Albamonte e Antonino Di Maio, ma all'imputato, a fronte di una richiesta di ergastolo della procura, hanno riconosciuto le attenuanti generiche. La ricostruzione di quegli scontri tra tifoserie è stata condivisa, anche se il ruolo dei napoletani, nel giudizio finale, viene attenuato: otto mesi di reclusione è la pena, sospesa, stabilita per Gennaro Fioretti e Alfonso Esposito, sul banco degli imputati con l'accusa di rissa aggravata. I pm avevano chiesto tre anni e mezzo.
LA SENTENZA - De Santis dovrà anche pagare provvisionali per 140mila euro: 50 mila al papà di Ciro, Giovanni, altrettanti alla mamma, 20 mila invece per i fratelli, Michele e Pasquale. I risarcimenti dei danni per la famiglia, i Comuni di Roma e Napoli, entrambi parti civili nel processo, saranno stabiliti in separata sede. Fioretti ed Esposito, i due ultrà napoletani, che la procura aveva accusava della rissa sono stati riconosciuti responsabili soltanto delle lesioni al volto riportate da De Santis, non invece di quelle, assai più gravi, che Gastone ha subito alla gamba.
LA VICENDA - Era il 3 maggio 2014, a poche ore dalla partita di Coppa Italia Fiorentina-Napoli, un pullman di tifosi celesti viene aggredito da un gruppo di ultras romanisti, alcuni con il volto nascosto da caschi. Secondo la ricostruzione, non soltanto i napoletani scendono per replicare all'attacco, altri sostenitori della squadra partenopea, come il gruppo di Ciro, sarebbero arrivati in supporto. Lo scontro sarebbe stato violento. De Santis avrebbe tirato fuori la 7.65 e aperto il fuoco, poi sarebbe fuggito, mentre gli amici di Ciro lo braccavano fino a massacrargli una gamba. Così fin dentro a un locale, dove Gastone aveva trovato rifugio. Quella sera la partita si è svolta ugualmente, con una contrattazione tra le forze dell'ordine e il capo degli ultrà napoletani, Genny a Carogna, che avrebbe avuto un altro seguito giudiziario. Le condizioni di Ciro sono gravissime, l'agonia dura 53 giorni. Anche De Santis finisce piantonato in ospedale. Il 7 maggio, il gip Giacomo Ebner dispone per l'ultrà romanista la detenzione in carcere, per la procura è chiaro: a sparare è stata soltanto un'arma, i cinque bossoli trovati dalla Digos sono compatibili con la pistola che De Santis avrebbe impugnato. L'11 maggio, all'Olimpico, durante la partita Roma-Juventus, sugli spalti, gli striscioni sono contro Ciro Esposito e l'ispettore di Polizia Filippo Raciti, invettive analoghe compaiono su alcuni muri della Capitale: Il 25 giugno Ciro chiude gli occhi per sempre.
IL LEGALE - Adesso Tommaso Politi, legale di De Santis, spera nell'appello «Non mi aspettavo questa sentenza - dice - è evidente che il condizionamento mediatico abbia avuto un ruolo fortissimo in questo processo. E' la prima volta che un uomo che si dà alla fuga, come riconosciuto dalle testimonianze, e abbia riportato ferite invalidanti, viene condannato a una pena così pesante. Il mio assistito ha cercato di sottrarsi al massacro, questo è emerso con chiarezza».