24/08/2016 13:46
IL MESSAGGERO (U. TRANI) - La Champions della Roma finisce prima ancora di cominciare. Fuori nel playoff, umiliata dal Porto che vince 3 a 0 all’Olimpico, nuovamente in amore, con 40.000 spettatori e le curve finalmente quasi al completo. L’uscita di scena è deludente è, per certi versi inaspettata dopo l’1 a 1 dell’andata. Ma, analizzati i due match, il flop diventa spiegabile con la fragilità psicologica del gruppo, isterico alla meta: 3 espulsi, con 2 rossi diretti nel secondo match. Dopo Vermaelen, ecco De Rossi ed Emerson.
Solo il Milan, tre anni fa, è entrato in Champions dai play off nelle ultime 7 stagioni. La pressione ha stritolato i giallorossi che ancora non sono pronti per il palcoscenico internazionale. Ripartiranno dall’Europa League che non può certo accontentare Pallotta: l’eliminazione va incidere sui conti del club che si deve mettere in regola con il Financial Fair Play. Anche tecnicamente il ko merita di essere approfondito: Spalletti, senza sei difensori nella gara cruciale, non supera il primo vero esame della sua seconda avventura nella capitale. La rosa è di qualità, ma attualmente incompleta. E qualche interprete è stato sopravvalutato. La formazione di partenza, con De Rossi centrale difensivo accanto a Manolas, non ha convinto. Anche perché il capitano di serata, sullo 0 a 1, ha perso la posizione ed è andato a commettere in attacco il fallo che ha cambiato la storia della partita. E’ la sua quattordicesima espulsione in carriera, 12 con la Roma e 2 in Nazionale.
E’ il Porto a chiarire quale è il compito della serata per i giallorossi. Che non possono giocare per lo 0 a 0, risultato utile essere promossi, perché Felipe firma presto l’1 a 0 (sono adesso 31 le partite su 32 in Europa che incassano gol: 69), facendosi perdonare l’autorete dell’andata. La disattenzione della difesa romanista è evidente e coinvolge due giocatori sulla punizione frontale di Otavio da trequarti campo, Juan Jesus si perde l’avversario e Strootman non salta. Casillas, fino a quel momento, ha solo dovuto respingere in angolo un tiro da fuori di Nainggolan. La rete di Felipe agevola il piano di Espirito Santo che, coprendosi con il 4-1-4-1, può chiedere ai suoi giocatori di giocarsi la sfida in contropiede. Spalletti, invece, deve solo trasmettere tranquillità al suo gruppo che, nell’assalto che diventa scontato, rischia di spingere con eccessiva precipitazione. Il 4-2-3-1, tra l’altro, è meno efficace del solito. Maxi Pereira blocca Perotti, Telles è attento su Salah. Paredes non lievita e Strootman si ritrova solo nell’impostazione. Nainggolan è ovunque, ma non basta.
La Roma, a metà tempo, alza il ritmo. Ma più che occasioni colleziona angoli. Saranno 9 all’intervallo e 11 alla fine. Dzeko partecipa con convinzione. Va al tiro di sinistro e a seguire, su verticalizzazione di Perotti, entra in area e manda al tiro Salah: Casillas respinge. La chance migliore per i giallorossi arriva un paio di minuti prima l’espulsione di De Rossi. Che, come Vermalen a Oporto, lascia i compagni in dieci. Stavolta il rosso, però, è diretto. Il fallo del capitano, a ottanta metri dalla porta di Szczesny, è inspiegabile. Piede a martello sulla tibia di Maxi Pereira: in Europa gli arbitri sanno che devono applicare la massima pena in casi del genere e il polacco Marciniak si adegua al regolamento. Spalletti cerca di aggiustare la squadra, passando al 4-4-1 e inserendo Emerson per Paredes, con Juan Jesus terzino. Maxi Pereira si arrende: tocca a Layun. Emerson, ad inizio ripresa, copia De Rossi, andando a colpire la caviglia di Corona. La Roma resta in nove e Spalletti sistema come può i giocatori in campo e attacca con il 3-2-2-1. Dzeko è stanco, spazio a Iturbe da prima punta. Ma Espirito Santo, sfruttando le ripartenze, infierisce: segnano Layun, con Szczesny che lascia la porta senza motivo. Nel finale spazio per Gerson al posto di Perotti: debutto con ammonizione. Il 3 a 0 è pesante e Spalletti adesso deve solo pensare ad addestrare i giocatori. In campo, insegnandogli i movimenti più semplici. Evitando, invece, di far salire troppo la tensione, nello spogliatoio e in palestra, con cori da battaglia. Per non perdere la testa anche in campionato.