Da brocco a capocannoniere, il segreto del secondo anno: “Ora sì che ho capito l’Italia”
25/10/2016 13:47
LA REPUBBLICA (M. PINCI) - A ripensarci bene, era scritto. Non nelle stelle, ma nei freddi numeri delle statistiche. Alcune coppie nella vita si scontrano con la crisi del settimo anno, tra la Roma e Edin Dzeko invece l’amore è sbocciato al secondo: ve le ricordate le immagini dissacranti che lo ritraevano con occhiali e bastone? Sono sparite. Da Hyde a Jekyll, da Edin Cieco a Edin Dzegol in meno di un mese: un mese in cui la Roma è passata dal quarto posto condiviso con Bologna e Chievo al secondo a -2 dalla Juventus, stravolgendo le proprie prospettive.
Un mese in cui Dzeko s’è preso la Roma a colpi di gol: 4 nelle ultime 3 giornate, 8 in tutto, gli stessi realizzati nell’intero campionato scorso. Altro che metamorfosi, una rivoluzione. Un gol ogni quattro partite un anno fa, uno ogni 88 minuti adesso. Cosa diavolo è successo al centravanti che non segnava mai? Soltanto quello che gli era già capitato a Wolfsburg e a Manchester: 8 gol in 28 partite il primo anno in Germania, 2 gol in 15 incontri nella prima stagione inglese. In entrambi i casi la musica era cambiata il secondo anno: 26 gol in 32 gare con i tedeschi, 14 in 30 nel City. Oggi a Roma marcia a un ritmo che proiettato sulle 38 giornate varrebbe quasi 34 reti.
Il primo anno gli serve a prendere le misure, il secondo raccoglie i frutti:
«Ma il vero Dzeko è questo», giura lui. Che la metamorfosi la spiega così: «In Italia i difensori ti raddoppiano sempre e picchiano di più: l’anno scorso non lo sapevo, per questo andavo meno bene. Ora lo so e si vede».
I fischi non lo hanno mai sommerso, ma forse addosso ha sentito qualcosa che è anche peggio: la colonna sonora della sua prima stagione però era il brusio scettico dell’Olimpico.
«Non mi era mai capitato - spiegava in quei giorni a un amico - ma quando arrivo davanti al portiere ho paura di sbagliare». E regolarmente sbagliava:
«Provo a forzare, tiro forte e la palla va alta». Poteva andare in Cina, a gennaio dalla Superleague avevano inviato una mail con un’offerta da 28 milioni per la Roma e 10 all’anno al calciatore. Lui ha preferito restare, per non perdere la scommessa italiana che aveva fatto tagliandosi lo stipendio. Ora Roma lo applaude:
«Ma vediamo cosa succede se non segno per due partite...». Se continua così sarà difficile che accada. Nessuno in Europa ha tirato in porta più di lui in questa stagione: 49 conclusioni, più di Ibra, di Ronaldo e di Cavani, gente abituata a girare in doppia cifra. A Dzeko è capitato solo 6 volte negli ultimi 10 anni: pochino. Ora la quota è troppo vicina per non aggredirla. Merito di un’organizzazione di gioco che premia quel centravanti anomalo: alto, eppure non esattamente incisivo di testa. Grosso, ma con piedi educatissimi (per gli scettici, da rivedere l’assist di domenica a Salah). Spalletti gli rimprovera di partecipare ancora poco alla manovra, di cercare troppo poco il movimento alle spalle della difesa. Lo fa anche con una certa aggressività: eppure ha rinunciato al suo tradizionale “falso nueve” per mettere quel gigante nelle condizioni di fare gol. E pure i compagni sembrano cercarlo con più intensità, come si fidassero di più: senza più l’amico Pjanic, ha intensificato le uscite con Strootman e Rüdiger (a proposito: domani contro il Sassuolo il difensore tornerà in panchina a meno di 5 mesi dall’intervento al crociato), si è inserito nel contesto romano. La prova che forse, pure a Roma, l’ambiente, non è poi così male.