Fede giallorossa contro rete grillina: in città infuria il vero derby populista

24/02/2017 14:43

LA REPUBBLICA (F. MERLO) - «Mortacci - dice Claudio che guida il Taxi Rieti 63 - ci ho 65 anni e prima de morì lo volevo vedé ‘sto ». E giura che lui non si è ancora ammattito «ma ho assistito a una scena de matto: l’amico mio Giuseppe stamattina se dava li cazzotti in faccia, come se fosse due persone, e allo specchio s’era sputato pure: tiè, str***o». E perché? «Ma come perché? Perché ha votato per i cinque stelle, per la Raggi porella, che è stata tanto brava con noi tassisti, anche se ha strafatto un po’». E perché? «Ma come perché? Perché in piazza nun ce doveva venì. Bastava farlo sapere: io sto con voi».

«In fondo è il sindaco, e ce serve di più se non sbraca, se non se caca sotto per lo stadio». Sei più tassista o più romanista? «Più romanista. Ma guarda che a Roma i tassisti so tutti romanisti ». E i laziali? «So na minoranza. Se ce fai caso so tutti molisani d’origine». E che vuol dire? «Che sino all’altro ieri guidavano er carretto».

Se provate a togliergli il dialetto e a tradurlo in italiano, scoprirete che il pensiero non è per nulla pittoresco come suona. C’è infatti buon senso e c’è un disturbo di personalità nel tassista che si prende a cazzotti. Insomma il calcio batte la politica con quella parola d’ordine di e che da ieri mattina le tante radio romaniste rilanciano con il cannone: #FamoStoStadio. Anche se poi «tanto ppe faglie capì l’umore» si sono a cantare ‘Non mi fido di te’, la canzone degli Stadio, appunto: «Non mi fido di te / Che così bene chiacchieri / Perché hai già dimostrato / Che non ti fai scrupoli ». E intanto con intelligenza il conduttore di Retesport commenta: «È la canzone degli Stadio, ma non è ironia, se mai è satira amara: ve faccio notà che è una canzone d’amore».

Girando tra gli umori romanisti che la sociologia descrive come il sottoproletariato selvaggio, come la nuova suburra, scopro dunque che sono più popolani che coatti i tifosi della Roma: «Davvero te sembro un coatto, uno che non ragiona?». Coatto viene da cogere, più esattamente dal participio passato coactus e vuole dire spinto, e dunque costretto, senza autonomia. E infatti a Roma è coatto il burino, l’abitante della periferia che è ‘spinto’ nel ghetto, ‘costretto’ a vivere ai margini, lo sradicato, il ragazzo di vita pasoliniano. Il tifoso invece smette volontariamente di ragionare è vero, ma solo per la Roma.

E dunque, nel bar della Garbatella dove mi porta Claudio, Marcolino, che indossa calzini corti giallorossi con l’effigie della lupa, si mette le mani sui fianchi e, come fosse un coatto, sacramenta contro Grillo con irripetibili parolacce: «Perché dire ‘facciamolo da n’altra parte’ è un sonoro ‘sti c***i’ allo stadio». Ma ce l’ha pure con il presidente che ha twittato in inglese che rinunziare allo stadio sarebbe una catastrofe per la città, per il calcio e per lo sport italiano: «E vuol dire che senza stadio se ne va, che l’americano lascia Roma con l’Olimpico vuoto di spettatori, ce ricatta insomma. Il risultato? Sti c***i con Grillo e sti c***i con ». «E no - irrompe Brunello aggrappandosi al suo braccio - io se fossi il Movimento 5 stelle ce darebbe uno schiaffo morale a : lo faccia er Comune lo stadio». Replica l’altro: «E ‘ndo lo fa?». «A Capannelle invece che a ».«“Un bel ciufulo: te pare che così dai ‘na speranza alla ggente de Roma? Il comune fa lo stadio e lo regala alla squadra? Perepé». Marcolino contro Brunello, il romanista-romanista contro il romanista-grillino è l’inedito derby tra due pance di Roma, tra due trippe alla romana: insieme fanno il tassista che stamattina prendeva a schiaffi se tesso. Marione, che della Roma è il tifoso sempre contro «tranne quanno vincemo», con la sua famosa trasmissione “Te la do io Tokyo” che scimmiotta il vecchio titolo di Grillo in Rai “Te la do io l’America”, è la minoranza, la controinformazione, l’antisistema «il vero popolo contro o stadio de » perché «so sette anni che non se parla d’altro e non se vince niente». Marione, che molti anni fa militò nei Nar, è un omone tutto core de Roma con due dita di barba, ha la sua redazione in un bugigattolo di via Prenestina dove ogni sera la sua opinionista Valeria, che si prende in giro con ironia, va in onda con ‘Gli Inascoltabili’.

Ci sono, alla fine, gli umori più superficiali e pure quelli più profondi della città, nelle radio del calcio romano. Scandito da mille «a str***i», «do’ state? », «do ‘annate?», è un genere - non solo un degenere - che produce anche saperi professionali sorprendenti come quelli del bravissimo Flavio Grasselli che, giornalista precario commentatore di Radioyes, dove si era specializzato nel mettere insieme dati e tempi di possesso palla, proiezioni e previsioni, è stato assunto con un signor contratto da Eurobet, uno dei trust mondiali delle scommesse, per fare l’analista in diretta. E Valentina Catoni, un ragazzona focosa riccia e rossa, è la speaker giallorossa di Teleradiostereo, - «Aho, stasera è un bronzo de Riace» - tre ore al giorno, un fenomeno, una piccola star grazie ai suoi tormentoni: «Se avevo quattro gambe ero un ragno», «me do foco come Giovanna d’Arco, povera anima, per quanto sto a soffrì ppe ‘sta Roma», «non è facile entrà dentro de me quando sto a far ste cronache ». Il genere è quello del tamarro creativo che, ieri sera, dopo una serie di incredibili frasi alla Frassica ma in romanesco («qui ce vole un Platone d’esecuzione»), arriva a questa semplice verità: «Ma me vole spiegà il signor Grillo perché dice che ce vole il salvagente a ? Lì da cinquant’anni famo le corse dei cavalli, non quelle delle foche».

È qui e non sui giornali e neppure su Internet che si combatte la battaglia dello stadio, che è probabilmente una battaglia perduta che sta facendo però montare come una maionese l’intera città. Ore e ore di filo diretto non più solo di sport, c’è chi racconta i sedici stadi di Londra, e chi è stato all’Arena Aiax di Amsterdam, e «ora sti grillini dicono che lo stadio sarà de e non de la Roma? E che vuol dire, che quando parte se lo porta via?». E ancora: «A Milano costruiscono, a Roma nun se fa niente, il cemento fa schifo solo qui?». Giorni e giorni di opinioni su calcio e politica, calcio e urbanistica, calcio ed economia, infrastrutture, sovrintendenze, con il linguaggio del populismo, spesso basso e viscerale com’è ormai anche quello della politica — non era la sorella della Taverna che voleva «appiccicare la Raggi per le orecchie?».

La sguaiataggine è lo spirito del tempo, ma sono le radio che rendono il populismo romanista molto più caldo del populismo grillino che in rete ha sì la durezza del linguaggio scritto ma non ha la libertà del microfono aperto, il calore dell’urlo, la forza del dialetto, del gergo, delle divisioni in tribù e le balle e gli errori qui almeno sono spiritosi. Le radio romaniste sono quello che una volta erano le sedi dei partiti.

E ora, prima che esploda il conflitto sull’acqua del Tevere, sul terremoto, sulle idrovore, «sull’idrogeocomecavolosechiama » di ci fermiamo rapiti perché su Radio Radio, come per una pausa tra un combattimento e l’altro, il simpatico Enrico Silvestrin ha lanciato un dibattito su «uno studio scientifico che dimostra che più sport fai e meno sesso fai». E la spiegazione è ormonale: «Perché, come se chiama? Il tostotorone…». «E però deve essere vero perché nelle statue antiche gli atleti hanno tutti er pisello piccolo piccolo».

Ieri il dottor Papalia, l’ex proprietario dell’ippodromo di , che ha venduto i terreni al costruttore Luca ma me pare, dottor Papalia, che lei i soldi ancora non li ha visti»), in tutte le radio smentisce il rischio «idrogeocomecavolosechiama» e gli ascoltatori ovviamente lo adorano: «Quanto è autorevole», dice Nando. E poi, gran finale in latinorum: «Con tutte le stronzate che scrivono, il dottor Papalia è box clamans in desertum: mannaggia a Grillo, te possino…».