Il pasticciaccio del Campidoglio

09/02/2017 16:20

LA REPUBBLICA (S. MESSINA) - Alle dimissioni “respinte con riserva” nessuno aveva mai osato pensare, neanche i raffinati teorici delle “convergenze parallele”, perché quando un politico getta la spugna chi sta sopra di lui — un capo dello Stato quando si dimette un premier, per esempio — si riserva semmai di richiamarlo per farlo tornare al suo posto.

La formula che lascia l’assessore all’Urbanistica Paolo Berdini sulla sua poltrona ma “con riserva” di metterlo alla porta — la contorta invenzione uscita ieri dal baule delle sorprese della sindaca di Roma — ha introdotto le dimissioni in bianco nel mercato della politica, con un amministratore dimezzato che, come un commesso con la busta paga fasulla, oggi c’è e domani chissà (e se non farà il bravo di sicuro no).

L’altalena delle dimissioni dell’assessore — se ne va, no resta, anzi se ne va davvero — ha movimentato per tutta la giornata l’interminabile partita del Campidoglio: dal “no” alle Olimpiadi al “forse, vediamo, dipende” al , Virginia Raggi e la sua giunta continuano a offrire agli sconcertati spettatori della Capitale uno spettacolo davvero a cinque stelle, negli intervalli della telenovela sugli amori segreti, sulle promozioni familiari e sulle polizze vita che ruotano intorno a una donna sempre di più sull’orlo di una crisi di nervi.

Certo, quando sul tavolo ci sono uno stadio, un ponte, una stazione della metropolitana, un mega parcheggio e tre gigantesche torri alte duecento metri, un piatto da un miliardo e 700 milioni, non è pensabile decidere all’istante, prendere o lasciare. Ma la sindaca grillina finora ha giocato questa partita nel peggiore dei modi. Prima ha scritto nel suo programma che questo stadio non s’ha da fare, e dunque ha nominato assessore proprio l’ingegnere che più di ogni altro si era battuto contro il progetto del presidente e dei costruttori , ovvero Paolo Berdini. Dopodiché, seguendo i consigli di quel vicesindaco Frongia senza il quale sembrava non potesse muovere un passo, ha cominciato a ripensarci, ha fatto una mezza marcia indietro e a poco a poco è diventata possibilista, passando dal “no, mai” al “vediamo, dipende”.

Poi, quando è sceso in campo persino , e s’è visto che il numero di condivisioni, retweet e like per il superava di gran lunga il totale dei voti che lei aveva raccolto alle elezioni, Virginia Raggi ha capito che gli sportivi potevano essersi rassegnati alla cancellazione delle Olimpiadi, ma i tifosi non avrebbero mai rinunciato al sogno del nuovo stadio, e dunque ha rapidissimamente virato verso la giallorossa, rispondendo “Ci stiamo lavorando” all’hashtag #famostostadio e attrezzandosi a un compromesso con la Roma e con i costruttori. Da qui l’ira dell’assessore Berdini, uno che è stato dirigente del Wwf e di Italia Nostra, ha scritto La città in vendita e Breve storia dell’abuso edilizio in Italia, è stato segretario dell’Istituto nazionale di urbanistica e ha fatto del no allo stadio la battaglia della sua vita. Avvistando il pasticcio incombente, Berdini ne ha fatto però un altro. Prima ha confidato a Federico Capurso de La Stampa che la sindaca è «inadeguata», anzi «impreparata strutturalmente». Che «si è messa vicino una banda», invece di scegliere «il meglio del meglio di Roma». E che lei e Romeo sono «degli sprovveduti», perché lui già al secondo giorno aveva scoperto che «erano amanti» e non ci sarebbe stato nulla di male a dirlo chiaro e tondo, invece di cadere dal pero quando è uscita la notizia della polizza sulla vita: «Questa donna che dice che non sapeva niente, ma a chi la racconti?».

Poi ha fatto una smentita che non smentiva una sola parola (non poteva: era tutto registrato), ma in compenso ricopriva di insulti — come da manuale del perfetto grillino — quel giornalista che aveva fatto (benissimo) il suo mestiere di cronista. Un pasticcio nel pasticcio, che naturalmente la sindaca — appena ribattezzata «la depensante», a quanto pare dallo stesso Beppe che aveva scritto «Er sinnaco nun se tocca» — non poteva far finta di non vedere. E così ha convocato l’assessore, il quale le ha chiesto scusa e ha presentato le dimissioni. E qui è arrivato il capolavoro di Virginia Raggi. Che avrebbe potuto (e forse dovuto) accettare quelle dimissioni. E invece le ha «respinte con riserva », inventandosi su due piedi una formula che davvero neanche il più bizantino degli andreottiani avrebbe osato proporre. Così abbiamo avuto un pasticcio nel pasticcio del pasticcio. Un pasticcio destinato ad avere vita breve. Eppure, tra sospetti e veleni, tra gaffe e censure, tra inchieste e dimissioni, per i Cinquestelle l’importante è andare avanti. Con riserva, naturalmente.