Le verità di Leonardi: “Il Parma era spolpato, così mi sono rovinato”
04/02/2017 16:00
LA REPUBBLICA (M. MAZZITELLI) - Nove mesi per far fallire una squadra di calcio di serie A. Da giugno 2014 al 19 marzo 2015, in quei giorni drammatici per il Parma, si sono succedute vicende da farsa e personaggi grotteschi. Dopo due anni e per la prima volta Pietro Leonardi, che di quel Parma è stato amministratore delegato, l’uomo più contestato dai tifosi, dai dirigenti e dai giocatori, e ora radiato dalla Figc, racconta la sua versione. Senza omettere nulla.
Leonardi, lei è arrivato al Parma nel 2009 e per sei anni ha gestito la società da ad. Come fa a sostenere di non essere reponsabile del fallimento?
«I debiti li ho trovati quando sono arrivato: erano circa cento milioni, in parte ereditati dalla gestione Tanzi, in parte fatti nei primi anni di presidenza Ghirardi con campagne acquisti scriteriate, con passivi di trenta e quaranta milioni a stagione. Il Parma era già stato spolpato».
Lei si è difeso dicendo che non era in grado di fare l’ad, che non aveva le competenze: ora è troppo facile…
«Sono stato un coglione, lo so. La proprietà insisteva ed io ho accettato un po’ per vanità un po’ perché mi scocciava dire di no: è stato l’errore più grande. Ma ero tranquillo: c’era una “support letter”, firmata dalla mamma di Ghirardi e dagli amministratori delle sue società e rinnovata tutti gli anni, che garantiva il pagamento dei debiti. Il mistero è perché nessuno l’ha mai fatta valere, neanche i commissari».
Estate 2014: comincia il dramma del Parma. Lei ne era consapevole?
«Per la prima volta cominciai a pensare che poteva finire male. Eravamo stati travolti da eventi negativi. Avevamo già pianificato la stagione successiva. La qualificazione in Europa League ci avrebbe portato almeno 12 milioni, avevo venduto Biabany al Milan per 8. Poi il caos: niente coppe per un problema di incentivi all’esodo e Biabany non superò le visite mediche. Bruciati 20 milioni in pochi giorni. Anzi, 33, perché nei mesi precedenti avevamo risolto tutte le problematiche con le società estere per non aver problemi con la licenza Uefa: pagati 13 milioni per chiudere tutti i contenziosi».
Spendete 13 milioni e perdete l’Europa per 300 mila euro?
«I nostri avvocati sbagliano tutto e l’ Uefa ci boccia. Non sapevamo proprio di dover pagare. Si parlava di incentivi all’esodo, la situazione non era chiara a nessuno. Quando ci hanno dato ragione era troppo tardi».
Da lì parte tutto...
«Non me ne rendevo conto perché era una situazione assurda ma che poco aveva a fare con il nostro fallimento. Il danno invece è stato decisivo. Ci siamo trovati a luglio senza soldi».
E Ghirardi?
«Sparito. Fece solo una conferenza stampa attaccando tutti e da lì ci siamo messi contro anche le istituzioni. Annunciando le sue dimissioni ci ha creato un grave problema di gestione».
Perché non se ne è andato?
«Ho dato le dimissioni tre volte: poi mi chiamavano il sindaco Pizzarotti, i personaggi più rappresentativi delle istituzioni parmensi e mi chiedevano di restare, dicendomi che non potevo lasciare, che ero l’unico riferimento credibile e che mi avrebbero sostenuto. La mia famiglia voleva restare a Parma e così mi illudevo che si potessero risolvere i problemi».
Fallivate e la Figc, gli organi predisposti non controllavano? Su tutti i giornali si parlava delle crisi del Parma...
«Della Cosivoc e dei loro ripetuti allarmi ho letto sui giornali dopo il fallimento. Tavecchio è venuto a Parma da presidente della Figc a dire che non sapeva nulla. Io dopo la sue elezione sono stato da lui a Roma quattro volte e in due occasioni era presente anche Lotito, a dirgli che la situazione era drammatica. Tavecchio mi ha portato anche al Credito Sportivo per farmi avere un finanziamento. Come può dire che non sapeva nulla?».
Il Parma aveva in bilancio 137 giocatori...
«I 300 movimenti di mercato sono diventati la leggenda di questa storia. Con il mercato ho portato al Parma 195 milioni. Ogni anno utili dai 13 ai 16 milioni. Ma se volevo Borini, Defrel,Sansone, Lapadula o Di Francesco dovevo prendere anche giocatori di categoria inferiore. E le plusvalenze non le ho inventate io».
Si è parlato tanto anche del “tesoretto” Leonardi, una somma personale accumulata...
«Le rispondo come ho risposto al mio avvocato Paolo Rodella quando non voleva che accettassi la proposta del Latina: ho bisogno di lavorare per mantenere la mia famiglia. I soldi guadagnati li ho spesi per la casa dove vivo».
Quanto guadagnava?
«Trecentocinquanta mila euro netti».
Prima di darsi l’aumento…
«L’aumento me lo ha dato il cda del Parma. Avevo portato 195 milioni di euro in cassa. Passai a 650mila euro. Ho preso solo qualche stipendio, poi è arrivata la crisi».
E il prestito di un milione che il club le ha fatto?
«Era di 865mila euro, soldi che ho girato il giorno dopo all’Udinese: era il risarcimento concordato con Pozzo per interrompere il contratto con lui».
Per quel prestito è stato radiato dalla Figc…
«Ho dimostrato alla giustizia sportiva di aver restituito tutto. Ma la sentenza di radiazione l’avevo già letta sui giornali annunciata da Tavecchio».
Perché ha seguito personaggi come Taçi e Manenti?
«Con Taçi ha fatto tutto Ghirardi, io non sapevo chi fosse. In quel periodo passavo da un collasso a una crisi depressiva, ero bollito. Di Taçi ricordo che mi ha fatto passare sette ore davanti ad un fax in attesa del bonifico per pagare gli stipendi che mi annunciava tutti i giorni per due mesi. Mai arrivato. Manenti l’ho visto una volta e mi è bastato...» Vuol chiedere scusa?
«Sì, ai tifosi del Parma perché quella squadra a novembre, molto prima della crisi, era ultima in classifica. Di quello chiedo scusa. Per il resto non ho nulla di cui vergognarmi: mai rubato o distratto un euro della società. Non l’ho fatto fallire io il Parma».
Ma lei spera ancora di rientrare nel mondo del calcio?
«Andrò a Lampedusa e cercherò di portare giovani immigrati nei settori giovanili di quelle squadre che vorranno aiutarmi in questo progetto. Ora ci terrei ad avere una “scuderia” con centinaia di ragazzi…»