27/02/2017 17:18
DAGOSPIA (G. DOTTO) - Truci a San Siro. Dopo il secondo gol, riguardate le immagini, i compagni hanno quasi paura di abbracciarlo. Gli vanno incontro, sì, ma circospetti, con una ritrosia addosso. Quasi spaventati. “E’ uno di noi?...”, si vede che si chiedono Peres, Salah, Dzeko e compagni. Dopo il primo, lo avevano sommerso. Colpo strepitoso. Gagliardini bevuto, Handanovic stangato. Qualcosa tra Baggio e Totti. “Grande giocatore, sì, ma pur sempre uno di noi”. Quarantaquattro minuti dopo, il dubbio si fa strada. Che venga da Marte. Sempre lui, Radja, prende palla prima di metà campo, va leggero con la cresta a mo’ di barra (gli squali hanno creste? No? L’unicorno sì). Sente l’odore del sangue. Dzeko e Salah sono le due avanguardie, gli creano lo spazio che gli serve, sono il vento che annuncia la bufera. Lui va, prende la mira, e spara da fuori con la naturalezza del magnifico selvaggio. Semplice e letale. Come sono i Ninja. Strizzo la memoria. Non ricordo una prestazione di centrocampista (centrocampista?) a questo livello. Due reti a parte, lo trovi ovunque, in tutte le versioni calcistiche possibili.
A spazzare via l’area dietro, che ruba palloni come Arsenio Lupin, a tramare di fino in mezzo, nel breve e nel lungo, lanci di trenta metri e poi cecchino inesorabile. Mettile insieme le ultime partite di Nainggolan, mettili insieme i suoi gol, metti insieme anche i suoi eccessi privati e pubblici, e capisci che qualcosa non quadra. Che questo paradisiaco mastino compresso in un metro e settantacinque di potenza pura (si è mai preso un raffreddore?), nato per le cronache ad Anversa, in realtà chissà dove, è una meravigliosa anomalia nell’album planetario delle Panini e nella caleidoscopia del pallone. Una dismisura che ha messo in crisi il lessico del calcio. Da quando gli hanno permesso di essere tale, fuori da ogni divisa e gabbia tattica.
Ma la Roma di Spalletti non è solo il Ninja. Intanto è Spalletti. Un altro eccessivo, come Nainggo. Uno fuori di testa, ma davvero. Un altro che ha preso se stesso per le corna, prima di prendere il mondo. Conosce il calcio e ogni volta lo spiega e se lo spiega con dedizione maniacale. Ha rotto le acque, mollato gli sci, preso il largo. Fa quello che deve fare, dice quello che deve dire e pazienza se, ogni tanto, cerca strade tortuose per dirlo. L’uomo è tortuoso in quanto torturato. Ma è un vero leader e la piazza lo annusa. Lo annusano i giocatori, che gli vanno dietro.
La Roma è quei tre dietro. Voglio dire Fazio, Manolas e Rudiger. Due animali e un professore. Aggiungi un portiere, il polacco, anzi due, il brasiliano. Juventus docet. La forza di una squadra nasce da lì, quando sei imperioso e allo stesso tempo propositivo dietro. Non ci sarebbe stata Juve, non ci sarebbero stati cinque (sei?) scudetti, non ci sarebbero stati Conte e Allegri, chiunque altro, senza Bonetti, Chiellini e Barzagli, più Buffon. Questa Roma è una somma impressionante e bene assortita di tipacci poco raccomandabili, a cominciare da De Rossi, Strootman, Salah, Dzeko e Perotti (mi ricorda la prima Juve di Conte, quella dei Pirlo, Tevez e Vidal) Peccato quei sette punti. Avremmo assistito a un Roma-Juventus da epica. Due squadre alla pari con una differenza non marginale. La squadra di Max Dentone è come quei coltelli svizzeri multiuso. Ha sempre la soluzione per aprire qualunque scatola. Tutte le funzioni possibili. Il perforatore, la pinza, il cacciavite, la lama di fino, di taglio, la raspa e la ruspa, la forbice, lo squamatore, la sega, la lima e il cesello. Se serve, ti cava anche il tappo. La Roma ogni tanto, sempre di meno, non ne viene a capo. Si confonde.
Restano loro due, Juventus e Roma, dal momento che il Napoli si fa uccidere dalla meravigliosa Atalanta di Gasperini. Una squadra in stato di grazia, attraversata dal brivido del talento e dalla forza della convinzione. Funestato dalla sempre più visibile idiosincrasia tra presidente e allenatore, il Napoli perde colpi e si conferma quello che è. Squadra notevole quando il verso è giusto, ma quasi mai congrua con le grandi e inadeguata dalla cintola in giù.