Elogio del cemento, simbolo del clash tra edilizia e politica

01/03/2017 16:46

IL FOGLIO (U. MINOPOLI) - Cemento. Gli inglesi lo chiamano concrete. E' un riferimento fedele al significato originario del termine: opus, concretum. Grazie ai suoi inventori, l'ingegneria geniale di Roma antica, divenne spartiacque di civilizzazione: l'uso del calcis structio, un composto in perenne evoluzione tecnologica, distingue l'abitabilità civile da quella insicura e primitiva. E marca il passo della civiltà abitativa sui terribili e banali vagheggi della natura. Se fosse possibile confezionare un simbolo della modernità, non c'è dubbio, sarebbe fatto di calcestruzzo. Oggi altri romani, singolare contrappasso, candidano la nostra capitale a diventare, invece, il simbolo dell'opposto: il no all'opus, al concretum, al cemento. Stupidamente identificato con il nuovo delirio noista di modemi radical chic, panciuti e appagati: l'intoccabilità della natura e della sua, presunta, placida benevolenza.

La performance dei populisti al governo, sulla vicenda dello stadio di Roma (che segue il no alle Olimpiadi), è un concentrato di posizioni obbligate, di riflessi pavloviani, che accomuna un mondo variegato di politici, intellettuali, operatori di comunicazione, impiegati pubblici, sinistra politica e ambientalisti di professione, ben oltre i 5 stelle. Che, nelle condizioni del sindaco Raggi o del comico che la dirige, avrebbero adottato, è probabile, i medesimi comportamenti scellerati, obbligati dallo stesso corto circuito mentale. Tra politica ed edilizia si è cristallizzato, in Italia, un clash di civiltà. La decisione politica è, ormai, paralizzata da alcuni tic dominanti. Che hanno il peso di una cancrena. Il primo tic: in Italia una opera edilizia e urbanistica è giudicata e bloccata, in primis, per la percentuale di... cubatura, la "colata di cemento" che prevede. La cubatura fa leva su ogni valutazione di qualità dell'opera: percentuale di edilizia residenziale (requisito solitamente aborrito in sé), edilizia civile (opere pubbliche), infrastrutture di trasporto, servizi, interventi di sicurezza del suolo, recupero del degrado abitativo, ecc. L'ossessione della cubatura sconvolge la decisione, la qualità scompare: la giunta romana, per ridurre la quantità del cemento, taglia la qualità del progetto, la sua parte civile e di pubblico interesse. Demenza. Il secondo tic: ogni progetto di edilizia privata è, per definizione, speculazione. E' un riflesso, un obbligo comportamentale, quasi behaviorista, per una certa cultura italiana. E diventata quasi senso comune. Occorrerebbe un'ecologia, una pulizia del linguaggio in Italia, una riconnessione tra parole e significato. Che dica: l'investimento privato in edilizia non differisce da alcun altro; il profitto, se è frutto di procedure lecite, è giusta remunerazione. Non speculazione. Il terzo tic: la contrapposizione di cemento e difesa ambientale. Nel delirio persecutorio del cemento, male in sé, la cultura noista, sta determinando il colpevole aggravamento del contesto ambientale italiano.

Stiamo, letteralmente, franando di divieti di opere perché edili e che implicano uso del cemento. E' così che il noismo sta contribuendo, attivamente, al consolidamento della principale tara ambientale nazionale: l'arretratezza infrastrutturale, il gap di solidità del territorio nazionale esposto alle aggressioni dello spontaneismo naturale (terremoti, frane, esondazioni ecc). Il quarto tic: il terrore dell'espansione edilizia. E' diventata parola proibita per un'intera cultura urbanistica e per scuole di architetti di sinistra. Che si trasforma in vero refrain reazionario. Ci si oppone a una legge di natura: al termine del prossimo decennio 6,4 miliardi di persone sulla Terra (su 9 miliardi di viventi che siamo) vivranno in grandissime città. L'alternativa di una città all'espansione è la morte. Non a tutti è data la villa in riviera del comico. Analogamente alle grandi concentrazioni urbane nel mondo Roma, come Milano, e altre, deve espandersi. Diventare da città una metropoli. Può farlo con lo spontaneismo abitativo (sbagliando) o con legislazioni urbanistiche friendly e di accompagnamento della rivoluzione metropolitana. La cultura noista ci consegna, impotente, allo spontaneismo. Che peggiora la qualità abitativa e il contesto ambientale. Infine il quinto tic: l'industria delle costruzioni è regno del male, il concentrato di poteri forti e speculativi. Un travisamento pericoloso. Non è stato sempre così. In tutto il quarantennio del Dopoguerra, del miracolo e della crescita italiana, l'industria delle costruzioni ha potuto contare sulla giusta considerazione, della sinistra politica e sindacale, del suo valore di volano della crescita e dell'occupazione. Il pur debole e "mancato" riformismo italiano ha sempre intessuto un rapporto consapevole con i temi dell'urbanistica, della modernizzazione della città, del ridisegno urbano. Poi, con il cortocircuito tra Tangentopoli e la deriva ecologista della sinistra, la svolta: un intero settore economico è stato criminalizzato, culturalmente deleggittimato. E con esso il suo ceto imprenditoriale. Questa deriva colpevolista sull'impresa in edilizia, ha accompagnato il declino delle costruzioni e la più lunga e pesante recessione della storia dell'industra edlizia. Dal 2006 al 2016 l'industra delle costruzioni è stata in caduta libera in Italia. E il suo declino ha coinciso con l'aggravamento di tutti i fattori di performance economica, nazionali e internazionali, del paese. In questa crisi dell'edilizia che ha bloccato, per dieci anni, il pil italiano un fattore "politico" ha giocato su ogni altro: il gap autorizzativo. Tra il progetto di un'opera e il suo inizio realizzativo passano, in Italia, oltre due anni e mezzo come media: meno della metà all'estero. E' il parametro di competitività che ci svantaggia in ogni confronto. E che risulta come principale fattore di non attrattività degli investimenti in Italia. Nel clima di controriforma inaugurato il 4 dicembre si è cassato, tralaltro, il tentativo di allentamento di questo proibizionismo autorizzativo, per le opere e i grandi lavori in Italia. E questo è olio sul fuoco della decrescita italiana. Insomma: l'edilizia e la sua vicenda nella seconda repubblica è un manuale di studio delle ragioni del declino italiano e un manuale di studio del populismo al governo che occorrerà evitare.