28/05/2017 14:14
IL MESSAGGERO (M. FERRETTI) - Campione d’Italia con la Roma e, sempre con la Roma, pure campione del mondo con l’Italia. Francesco Totti? Certo. Ma anche Bruno Conti, quello che ce n’è uno e viene da Nettuno. «Un soddisfazione enorme e un grande onore, perché ‘sta doppietta l’abbiamo centrata soltanto io e Checco…», racconta Bruno, legato al Capitano della Roma da un’amicizia sincera e profonda, «per me è come un fratello». E ancora. «In più, mi piace sottolineare che entrambi siamo cresciuti nel settore giovanile della Roma, oltre ad essere due grandi tifosi della Roma…». Bruno ha vissuto Totti a tutto tondo. «Francesco è stato portato alla Roma da Gildo Giannini, ed è doveroso ricordarlo. Cioè lo stesso dirigente che, quando smisi di giocare, mi ha dato la possibilità di cominciare a lavorare nel settore giovanile della Roma dove ho incontrato Francesco». Un predestinato, secondo Conti. «Anche se aveva quattordici anni, si vedeva che lui era di un’altra categoria. E che sarebbe diventato quello che poi è diventato. Non solo per le doti tecniche, nettamente superiori a quelle dei suoi coetanei,ma per la personalità. E lui giocava sempre sotto età, cioè con quelli di un anno più grandi. Faccio un esempio: gli davi il pallone e lui, anche se era marcato da tre avversari, non perdeva mai la calma, sapeva sempre cosa fare e… la faceva. Non lo spaventava nulla, neppure gli errori. E già a quattordici anni aveva un occhio dietro la testa, cioè mandava il compagno in porta senza guardare». Dopo un po’ di anni, Bruno è diventato l’allenatore di Totti: non nel settore giovanile, ma in prima squadra. «E qui colgo l’occasione per ricordargli che mi fece incazzare di brutto… La Roma aveva un disperato bisogno di lui, ma Checco si beccò quattro giornate di squalifica dopo una litigata con Colonnese in Roma-Siena. E questo ancora non gliel’ho perdonato. Io già avevo tremila tic, lui me ne fece aggiungere un altra decina… Scherzi a parte, ricordo l’aiuto, la sua collaborazione durante il lavoro settimanale, fondamentale per salvare quella squadra». Bruno, come detto, ha un rapporto di amicizia sincera con il Capitano e pure una venerazione sotto il profilo tecnico. «Francesco è un uomo favoloso: generoso, altruista, sincero, umile e sempre disposto ad aiutare gli altri. Gli rimprovero solo una cosa: talvolta sarebbe stato meglio se avesse tirato fuori gli artigli, ma il suo carattere gliel’ha impedito, e il carattere non si può cambiare. Come giocatore, però, è ancora meglio. Nonostante abbia dovuto fare i conti in carriera con un sacco di gravi infortuni, superati sempre con sacrificio e una grandissima forza di volontà. Io lo metto tra i grandissimi numeri 10 di tutti i tempi. Nel mio ufficio di Trigoria ci sono appese tre fotografie a cui tengo veramente tanto: io e Messi, io e Pelè e io e Checco. Devo aggiungere altro?». No, non serve. Bruno smise di giocare al calcio a 36 anni, Francesco ne ha 41 e ancora smania… «Due situazioni simili, probabilmente. Io non pensavo di smettere, poi ha prevalso la sofferenza di un anno vissuto, per colpa di Ottavio Bianchi, sempre ai margini, nonostante avessi ancora la forza per continuare a giocare. Così, con l’avvicinarsi della fine della stagione, mi venne quasi naturale pensare di smettere tanto era la delusione, la rabbia che provavo in quel periodo. Vi racconto una cosa: un giorno, durante un allenamento, Bianchi ordinò di provare i calci di punizione e si mise in barriera. Io presi la mira e gli tirai addosso una pallonata. Tanto smetto, che mi frega… Lui capì tutto al volo, ma rimase in silenzio… Avevo la possibilità di continuare a giocare da altre parti, ma non se ne fece mai niente per rispetto della gente romanista dopo una vita passata a Trigoria». «Per quanto riguarda Francesco, e parlo come Bruno Conti tifoso della Roma e non dirigente della Roma, il suo fine carriera doveva esser gestito in altro modo. Non accuso nessuno in particolare, lo ribadisco, il mio è un parere da tifoso e proprio da tifoso dico mi ha fatto male vedere Checco in campo due, tre, cinque minuti alla fine delle partite. Uno come lui, il più grande giocatore della storia della Roma, un autentico fenomeno avrebbe meritato un altro trattamento; con un finale più sereno e più tranquillo».
TUTTI IN TRIBUNA – Oggi, Bruno sarà all’Olimpico. «E con me ci saranno mia moglie, mio figlio e i miei nipoti. Ho fatto preparare alcune magliette, bianche, rosse e arancioni, proprio per la partita con il Genoa. E io indosserò la maglia numero 10 della Roma, quella di Checco». Che è destinato, ormai, ad attaccare gli scarpini romanisti al chiodo. «Il consiglio che gli posso e gli voglio dare è di non lasciare mai la Roma. Perché lui è la Roma. Io, sinceramente, non lo vedo come allenatore: è troppo buono, per farlo. Mi piace immaginare, invece, Checco come simbolo della Roma. In Italia e nel mondo. Presidente senza portafoglio della società, perché no? Lui merita il massimo. Se poi volesse restare a contatto con il campo, lo spogliatoio ritengo che non ci potrebbe essere persona migliore per svolgere questo compito. Perché ha il carisma, le conoscenze, la personalità per farlo. Chi meglio di lui, ad esempio, potrebbe parlare con un giocatore, aiutarlo a superare un momento così così oppure a gestire l’euforia? Totti sarebbe perfetto, per come lo conosco io, per stare a contatto con i giocatori. Dammi retta Francè, non lasciare mai la Roma».