10/05/2017 23:03
ILPOSTICIPO.IT (A. CIARDI) - “Vogliamo dominare la Ligue 1 e nel giro di tre anni vincere la Champions League”. Nel 2012 Nasser al-Khelaifi usciva allo scoperto dichiarando guerra al calcio francese che grosso modo il Paris Saint-Germain è riuscito a dominare. E provando a imporre la squadra della capitale in Europa, obiettivo finora mancato considerando anche lo storico rovescio ultimo in Champions League con il Barcellona.
CESSIONE DEL PSG: IL RUOLO DI SARKOZY - Un anno prima, a giugno, la Qatar Sport Investments rilevava il 70% del club ereditando anche i debiti che avevano causato seri problemi alla società Colony Capital che deteneva il pacchetto di maggioranza. Nessuno si sorprese, la svolta straniera era nell’aria. La QSI, emanazione sportiva del fondo sovrano del Qatar sfruttava l’amicizia fraterna fra l’allora capo dell’Eliseo, Nicolas Sarkozy, tifosissimo del PSG, e Hamad Bin Khalifa al Thani, emiro che aveva spodestato il padre approfittando dell’assenza del genitore, in vacanza in Svizzera. Un paio di telefonate, visite continue (al Thani fu il primo reggente di uno Stato in visita al neo presidente Sarkozy), affari economici e politici. E il rilancio in grande stile del Paris, in una città in cui il calcio non aveva mai attecchito prepotentemente. La gestione degli emiri è legata agli investimenti considerati folli se osservati dall’esterno. Il PSG è uno sfizio, al massimo una vetrina da sfruttare per lanciare il calcio in Qatar anche in vista dei Mondiali del 2022. Ancelotti, Blanc, Emery. Grandi nomi in panchina, grandi firme in campo, a cominciare da Pastore portato via al gongolante Zamparini in cambio di 42 milioni di euro. E poi in ordine sparso Cavani, Marquinhos, Thiago Silva, David Luiz, Di Maria, Ibrahimovic, Verratti, Lavezzi, Thiago Motta. Attratti forse più dai petrodollari che dalla competitività di un torneo che però vuole crescere e che quest’anno si è rilanciato grazie agli exploit di altri due club in mani straniere, Monaco e Nizza.
NUOVE LEGGI SULLE TASSE IN PARLAMENTO, IL CASO PLATINI -Porte aperte in Francia. Nel 2009 il Parlamento approva la legge di esenzione dalle tasse sui proventi degli investimenti delle aziende qatariote su suolo transalpino. Un’alleanza che nel tempo ha coinvolto ogni settore dell’economia del Paese, col fondo sovrano che entra nelle quote di marchi storici come Louis Vuitton Moët Hennessy, Total, Vinci, Lagardere. E nel calcio con l’irruzione di Al Jazeera per i diritti tv. Platini, in quegli anni Presidente dell’Uefa, promette pieno appoggio alla candidatura dei Mondiali 2022 in cambio dell’ingresso nel PSG del Fondo. Il figlio di Platini lavorerà nel Paris Saint-Germain. Con il Psg Ibrahimovic ha tenuto la media di un gol ogni 102′
Si aggirano le regole del tutt’altro che ferreo Fair Play Finanziario grazie a mega sponsorizzazioni con aziende legate ai proprietari come la Qatar Tourism Authority non nominalmente ma nei fatti, che portano nelle casse del club, in sei anni, 780 milioni di euro senza i quali oggi il PSG non esisterebbe più considerando gli investimenti mastodontici che hanno fatto registrare in uscita oltre 700 milioni di euro per i cartellini di calciatori. Non trascurando il dominio nella classifica degli ingaggi: 7 dei primi 10 calciatori più pagati della Ligue 1 giocano al Parco dei Principi. Thiago Silva ogni mese costa 1,05 milioni di euro, e si procede con Di Maria (900 mila euro al mese), Cavani e Thiago Motta (800), Pastore (770), Matuidi (750), Verratti (500). Gli intrusi sono Radamel Falcao (600 mila euro al mese), Balotelli (450 mila) e Gomis (420). Il Paris Saint-Germain ha cambiato volto. In 7 anni il fatturato è schizzato alle stelle, moltiplicandosi per 5. La vecchia proprietà chiudeva l’esercizio di bilancio 2010 con ricavi per 98 milioni di euro. La crescita progressiva ha fatto sfondare quota 400 milioni nel 2013 e quota 500 milioni nel 2016. Grazie, appunto, alle iniezioni di liquidi del fondo, perché dalle televisioni il club incassa cifre “umane” (105 milioni nel 2015), idem dal botteghino (70 milioni nello stesso anno). Mentre alla voce “altri ricavi” corrisponde una cifra pari a 295 milioni di euro, non giustificabili soltanto con la sponsorizzazione Nike, ovviamente. Attraverso la rinnovata sponsorizzazione con la QTA, che ha lo scopo di promuovere il turismo in Qatar, grazie anche ai testimonial del Paris Saint-Germain in cambio di 175 milioni di euro nonostante la guerra del presidente del Lione, Jean-Michel Aulas, che sottopose il caso all’Uefa presentandolo come finanziamento mascherato da sponsor.
IL CASO DEL PRINCIPATO DI MONACO - 50 anni compiuti da pochi mesi. Il suo nome che oscilla fra il settantacinquesimo e il centoventicinquesimo nelle classifiche di Forbes sugli uomini più facoltosi del pianeta con un patrimonio personale che ora si assesta a 7,3 miliardi di euro. Una separazione dalla ex moglie che nel 2014 stava per farlo entrare nel Guinness dei primati perché in primo grado il giudice aveva stabilito che le avrebbe dovuto dare metà patrimonio, 3,8 miliardi di euro, poi decisamente rientrato nei ranghi, per un accordo privato raggiunto a 534 milioni di euro. Un’isola, Skorpios, regalata alla figlia Ekaterina, acquistata per l’occasione dall’ereditiera Athina Russell Onassis, location del matrimonio di Jackie Kennedy con Onassis. Alla figlia aveva già regalato un appartamentino a New York pagato 88 milioni di dollari. Uffici in avenue d’Ostende, 1600 metri quadrati con terrazza che si affaccia su Porto Ercole, Palazzo dei Principi e Casinò. La casa di Coligny con spazio calpestabile grande come il centro di una cittadina italiana, due mega chalet a Gstaad, un hotel accanto all’Eliseo, la villa acquistata da Will Smith a Hollywood, 85 mila metri quadrati di proprietà con villa con 18 stanze acquistata da Trump, un attico da 900 metri quadrati con affaccio sulla Piazza Rossa di Mosca. Dmitrij Rybolovlev non è un personaggio che passa inosservato. L’acquisto nel 2011 del 66% delle quote del Monaco gli ha dato ulteriore fama. Il club del Principe e del Principato era in Ligue 2, viveva anni di saliscendi inopportuni, lui intervenne col savoir faire tipico degli ex sovietici che scendono in campo. Ha fatto i soldi con il potassio. Quando compra il Monaco il confronto coi qatarioti del Paris Saint-Germain è automatico e nonostante le disponibilità economiche di Rybolovlev in molti avanzano dubbi, soprattutto dettati dalla convinzione che sia entrato ne calcio proprio per non pagare gli alimenti alla moglie. Il Monaco è penultimo in Serie B, in panchina c’è Marco Simone, il Reims in vetta è distante anni luce, il club non spende più, appena 80 milioni nelle sei stagioni precedenti. Lui promette 150 milioni di investimento in quattro anni. Promette il ritorno nella Ligue 1 e che la squadra sarà la vera antagonista del PSG. Affida la gestione dirigenziale al fidato Evgeny Smolentsev, già Direttore tecnico dello Spartak Mosca.
Da giovane intraprendente investe in Borsa, costituisce una società finanziaria, quindi fonda una banca, attende il crollo del regime comunista e come tanti “colleghi” quell’evento segna la svolta. Dirotta le attenzioni sul potassio estratto in Russia, da usare nei prodotti fertilizzanti. Rischia grosso cavandosela con dieci mesi di carcere dopo essere stato arrestato con l’accusa di essere il mandante dell’omicidio del titolare di un’azienda chimica, poi il testimone chiave ritratta e lui se la cava. Abbandonando il suo Paese, dividendosi fra la Svizzera, base operativa Ginevra, e gli Stati Uniti. Ha rapporti stretti con altri magnati poco profeti in patria, da Abramovic a Kerimov, che però pensano alla Russia sovvenzionando lo sport nazionale. Arriva a Montecarlo. E si fa sentire. Spazza via i dubbi sedendo al tavolo del calciomercato coi santoni del pallone. Mette Ranieri in panchina e spende. Radamel Falcao, Kondogbia, James Rodriguez, Carvalho, Moutinho. Stringe patti coi fondi sempre più invadenti nel mondo del calcio. Stringe patti con Jorge Mendes. Il “piccolo” Monaco ha accesso ai cartellini di star di primo livello, sapendo che dopo un paio di stagioni verranno rivenduti. Con guadagni per il club biancorosso e, manco a dirlo, per Mendes. Poi arriva il 2014, Rybolovlev fa i conti con gli spendaccioni del Paris Saint-Germain che in Francia lasciano le briciole alle avversarie, ma soprattutto fa i conti con il rischio di veder dimezzare il conto in banca per la causa con la moglie che lo accusa di infedeltà. Si riparte dai giovani. Non si rinnegano i fondi e gli agenti lusitani. Via Falcao, via James Rodriguez, il Monaco se deve vincere lo farà puntando sui ragazzi, in Francia spuntano come funghi, molti hanno un talento smisurato. Esplode Carrasco? Lo vendo all’Atletico Madrid. È il 10 luglio 2015, incasso: 15 milioni di euro. Passa un mese e mezzo e via anche Martial. È il 31 agosto, 60 milioni di euro e via al Manchester United.
Questa è la politica che sta regalando una stagione, quella attuale, da sogno. Nonostante l’eliminazione cercata in Coppa di Francia (il Monaco ha schierato 10 riserve fra cui 9 ragazzini del vivaio in semifinale col PSG: risultato cinque a zero per i parigini) e nonostante la Juventus. Uomini giusti al posto giusto. In panchina il portoghese, manco a dirlo, Jardim. Dietro la scrivania Antonio Cordon, uno dei Direttori sportivi più in voga, di quelli che fanno le fortune dei club che non possono permettersi spese folli. Ex professore di educazione fisica, Cordon ha lavorato con ottimi risultati al Villarreal, a cui ha permesso di valorizzare Santi Cazorla e di fare enormi plusvalenze con le cessioni di Bailly al Manchester United (40 milioni), Gabriel Paulista all’Arsenal (20 milioni) e Giuseppe Rossi alla Fiorentina (10 milioni). Cordon al Monaco ha preso in mano il settore scouting, perché la nuova politica mira a produrre in serie gente come Mbappe, Fabinho, Mendy, Bakayoko, Bernardo Silva, Lemer, les enfants terribles che venduti tutto insieme frutterebbero 300 milioni di euro. I numeri del club sono piccoli. Il fatturato 2016 ha toccato quota 77 milioni di euro (ricavi inferiori alle spese per gli ingaggi, che fanno uscire dalle casse per questa stagione 83 milioni di euro), per intenderci circa un terzo di Roma e Milan, meno di un quarto della Juventus. Ultimo fatturato fra le 8 partecipanti ai quarti di finale di Champions League. Il gioiello Monaco del gioiello Montecarlo che gioca nel gioiello Louis II non ha bacino d’utenza. Lo stadio-salotto da 19500 spettatori, una tifoseria poco calda: gli sponsor non fanno la fila per sposarne la causa. I Grimaldi, che hanno sempre controllato il club, sono tornati a far sentire la voce. Una volta c’era il luogotenente Campora, storico presidente della società. Ora indirizzano le scelte di Rybolovlev, e forse benedicono quell’orgia con 12 modelle sul mega yacht del russo, pietra dello scandalo nella causa di divorzio. Da quel momento si è passati dallo sperperare senza vincere alla morigeratezza con vista titolo nazionale. Che manca da 17 anni. Dai tempi di Trezeguet a fare gol e Puel in panchina.
IL NIZZA E LE ALTRE - La terza stella della Ligue 1, il Nizza, da un anno parla cinese con inflessione americana. Dallo scorso giugno l’80% del club è nelle mani della cordata presieduta da Chien Lee e Alex Zheng, e dalla Pacific Media Group, rappresentata da Paul Conway e Elliot Ayes. Il restante 20% lo ha mantenuto Jean-Pierre Rivere, che si gode in Costa Azzurra una delle rivelazioni della stagione, guidata dallo svizzero Favre che sta gestendo al meglio Mario Balotelli. Lee e Zheng sono partiti con 160 economy hotel, diventati poi 2500, molti dei quali di lusso. Nel 2016 la fusione con la Shangai Jinliang Hotel che ha acquistato l’81% delle quote, fruttando ai due cinesi 1,5 miliardi di euro. Ora gli hotel sono 60 mila, per 640 mila stanze in 55 Paesi nel mondo, che ospitano 100 milioni di clienti l’anno. Non a caso hanno scelto Nizza, la Plataneo Hotel Group, holding di Lee e Zheng, in Francia si è fusa con la Paris Inn Group, catena alberghiera locale, per il controllo degli hotel della costa. Per la squadra, che non vince un trofeo dal 1999 (Coppa di Francia), non sono previsti investimenti rilevanti. Il cambio proprietà è costato 20 milioni di euro. Balotelli unico calciatore nella classifica dei 30 più pagati in Ligue 1. E alle viste, fra gli investimenti, il nuovo centro sportivo.
200 milioni di euro da investire in 4 anni. Più di quanto speso nelle ultime 20 stagioni dal Marsiglia, che dallo scorso autunno è in quota del magnate statunitense Franck McCourt, 64 anni, che nel 2012 ha venduto la storica squadra di baseball dei Los Angeles Dodgers per 2 miliardi di dollari a una cordata capitanata da Magic Johnson, con McCourt vicino alla bancarotta in seguito ai guai passati per evasione fiscale. Sono bastati 48 milioni di euro per rilevare il club del sud francese. E per battere la concorrenza del finanziere lussemburghese Gerard Lopez, che avrebbe riportato in panchina El Loco Bielsa. Invece l’ha spuntata McCourt, che dopo aver ricevuto le chiavi del Marsiglia dalla famiglia Dreyfus (in sella al club per 19 anni) sotto la supervisione del sindaco Jean Claud Gaudin, ha presto piazzato in panchina l’ex romanista Rudi Garcia, per quest’anno punta al piazzamento in Europa League, ma dal prossimo campionato vuole competere con Paris Saint-Germain, Monaco, Nizza e Lione per il podio. I tifosi marsigliesi sono fiduciosi, ma incrociano le dita affinché McCourt gestisca in modo meno turbolento il Marsiglia rispetto al periodo dei Dodgers. Fallita la scalata al Marsiglia, Gerard Lopez ha messo le mani lo scorso gennaio sul Lille. Dopo essere stato a capo della Lotus in Formula Uno e aver provato a rilevare l’Hull City. Per la Lotus il suo gruppo ha investito 40 milioni di euro, salvando, a suo dire, il lavoro a 500 dipendenti. Non addossandosi colpe per i 130 milioni di euro di debiti maturati nel triennio 2012-2015, additando come responsabili gli azionisti. Lopez, classe 1971, origini spagnole, ha fatto fortuna fondando e vendendo Skype per 3,2 miliardi di dollari, poi ha iniziato a diversificare gli investimenti. Soprattutto dando vita assieme all’ex vice presidente del Barcellona, Marc Ingla, alla Mangrove Group, società inquadrabile fra i fondi che tanto fanno discutere nel mondo del calcio, che acquisiscono quote dei cartellini dei calciatori affiancandosi, in modalità borderline, ai club. Col rischio sempre più ricorrente che il business scavalchi le finalità sportive attraverso la compravendita di calciatori-pacchi postali che vengono palleggiati da un continente all’altro a cifre apparentemente ingiustificabili. Waldemar Kita, polacco ma francese di adozione, è il più longevo proprietario straniero di un club transalpino. Il Nantes è di sua proprietà dal 2007. Ha vinto il premio dirigente dell’anno nel 2014, ha piazzato il figlio Franck sulla poltrona da Direttore generale, è diventato ricco coi frutti della quarta società europea nella produzione di lenti a contatto, poi venduta per 180 milioni di euro. Ora sta lanciando un prodotto per iniettare acido iarulonico che garantisce l’allungamento del pene. Nella Francia del calcio gli investitori stranieri non trovano ostacoli. Per questioni geografiche. A differenza di altre nazioni, a fare da contraltare alla capitale metropoli internazionale, Parigi, non ci sono grandi centri, se si eccettuano Marsiglia e Lione, che comunque non sono gigantesche. Parigi, per paradosso sempre un po’ freddina nei confronti del calcio, accentra politica, imprenditoria, finanza. Lasciando ben poco al resto del Paese. Quindi gli investitori locali sono poco disposti a immettere soldi nel calcio. Di conseguenza la Ligue 1 ha aperto le frontiere, col benestare del Governo, facilitando i rapporti commerciali con investitori interessati, attraverso agevolazioni fiscali, burocrazia azzerata per le concessioni agli intermediari, facilitazioni nello stipulare accordi con sponsor esteri. Motivi che hanno, per esempio, permesso ai qatarioti di conquistare Parigi.