10/08/2017 13:20
LA REPUBBLICA (F. BOCCA) - "Tutti ar mare", cantava la Ferri nelle autoradio. La mattina del 10 agosto 1980, una gran fiumana di romani — non laziali — si riversò sulla Roma-Fiumicino. Scrivemmo tutti 5000. Ragazzini con paletta e secchiello, mamme con l’abbronzante e il pranzo nella cesta, i papà con canotto e pallone. E la sciarpa della Roma. Già perché quella domenica il popolo sudato e bagnante fece tappa all’aeroporto ad aspettare il DC10 Alitalia, volo AZ569, proveniente da Rio. Atterrato alle 9.35, apparve per la prima volta a Roma e ai romanisti il Divino, l’Ottavo Re di Roma, la reincarnazione di Romolo, il progenitore di Totti.
Dino Viola, alla riapertura delle frontiere, non voleva mancare il colpo: voleva un superbig. Ci provò con Zico, ma quello tentennava, e pertanto tramite amici del Montevarchi — che ripagò con un’amichevole — era riuscito a convincere Paulo Roberto Falcao. Brasiliano anomalo dell’International Porto Alegre: non la foca ammaestrata che tutti aspettavano, tutto sommato poco noto in Italia. Ai Mondiali 78 nessuno aveva visto Falcao (Zico sì).
Dal Brasile dicevano che Falcao era stato pagato 4 milioni di dollari. Cifra astronomica (solo il Cosmos per Pelé aveva speso di più, 7 milioni), ma Viola giurò che erano 1400 milioni di lire. E un miliardo all’anno di stipendio. In una nota nella scheda di Falcao alla Federcalcio brasiliana c’era scritto “intellettualmente superiore”. Valeva o no la pena di andare a prendere il tale all’aeroporto?
La prima cosa che Paulo Roberto sulla porta dell’aereo vide di Roma fu la scala con un grande striscione giallorosso con scritto sopra “Falcao”. Subito dopo fu circondato da poliziotti, operatori, piloti, hostess e impiegati. E perfino tifosi che gatton gattoni avevano superato l’uscita al contrario.
Non ancora ventisettenne, biondo riccioluto, elegante in lino azzurrino e cravatta in maglina bordeaux, Falcao si ritrovò, in una bolgia umana che cercava di toccarlo, baciarlo, abbracciarlo quasi fosse la Madonna. Gli fu messa una sciarpa giallorossa al collo e un berretto in testa, i Roma club arrivati in pullman gli tirarono mazzi di fiori, e un tizio gli consegnò un’orrenda biga stile Ben Hur comprata al negozio di souvenir.
Il dirigente avvocato Lino Raule inviato da Viola aveva messo a disposizione per il trasporto del Divino la sua nuova Lancia Beta, che finirà ammaccata e sepolta di gente, tifosi seduti o sdraiati sul cofano cercavano di sbirciare dentro. E infatti l’avvocato di Viola, seccatissimo, voleva infilare nei costi dell’operazione Falcao “anche il conto del carrozziere”.
Curiosamente sullo stesso volo viaggiava pure il mitico Luis Silvio, brasiliano, ingaggiato dalla Pistoiese poi famoso come il più clamoroso bidone della storia del calcio: dicevano fosse in realtà un cameriere o un attore porno. E infatti interpellato Falcao scosse la testa: “Mai sentito!”.
Il Divino fu scortato all’Hotel Villa Pamphili che allora faceva da quartier generale per la Roma e per la Nazionale (partì da lì la spedizione di Spagna 82). Gli chiesero come dovesse pronunciarsi il suo nome, ma dopo vari “Faucaun” e “Falçon” si decise per Falcao e basta. Jorge Ben ci fece un improbabile samba: “In Italia c’è un belo uomo… ciao ciao Falcao”.
Lui non disse solo “voglio vincere lo scudetto” e “non l’ho fatto per denaro”, due classici, ma anche “sono venuto qui anche per studiare giurisprudenza e laurearmi”. Che tipo. In realtà avrebbe conquistato più cuori (soprattutto femminili), vittorie e 8 in pagella che trenta e lode. E Andreotti sarebbe apparso spesso al suo fianco a benedirlo politicamente.
Falcao era un mondo. Disse subito il Divino che avrebbe portato a Roma mamma Azise, famosa come la Lupa che allattava i fondatori di Roma. E con lui sbarcarono il suo avvocato Cristoforo Colombo, nome che era tutto un programma, e il suo amico fraterno Pato Moure, personaggio delle tv romane che avrebbe fatto subito coppia con sciabolata Sandro Piccinini: “che massssacro, a Rrrroma ha fatto un massssacro!” oppure “questa partita è così brutta che la vacca che ha dato il cuoio del pallone con cui se joca è morta invano”. Fu anche cantante compulsivo di osceni 45 giri tipo “Roma gol” e “Lo sculetto”. Gli straordinari anni 80.
Quella domenica 10 agosto 1980 Falcao apparì a Roma come un dio. Per qualcuno fu l’ispirazione. Per Carmelo Bene, suo grande fan e amico, per scrivere “Sono apparso alla Madonna”. O come diceva l’iperbolico fratellino Pato: “Mamma mia, ci ha esdrumato!”.