22/11/2017 17:36
(Il FATTO QUOTIDIANO-A.SCANZI) Le critiche a Carlo Tavecchio sono ingiuste. Soprattutto da un punto di vista dialettico. La sua conferenza di due giorni fa è qualcosa di prodigioso, in equilibro tra Mastro Geppetto, il Duce e Macario. Tavecchio ci ha regalato squarci indelebili di futurismo. Dopo di lui la lingua italiana non sarà più la stessa. Tavecchio ci ha insegnato un sacco di cose. Per esempio che lui non sa seminare, ma che "coloro che mettono gli ulivi per terra" gli hanno detto che "i primi frutti vengono otto anni dopo". Quanta saggezza. Lui non ha paura di mollare la poltrona, perché "a 74 anni ho fatto 35 anni di banca, 20 sindaco e 20 in Lega dilettanti". Mica niente. "Prima c'era Biscardi e poi io": praticamente una nuova Genesi. "Dobbiamo imparare a dire chapeau da chi? Chapeau lo dico io. Parlez-vous français? Oui bien, comment ça va?". E via andare, con un francese fluente come Adinolfi sui pattini. "Michele Uva si torca lì perché è bello? E' anche bello!". E poi il cellulare che squilla dal taschino, ma lui fa finta di niente come un navigato professionista dell'avanspettacolo. Tavecchio ha varcato ogni confine immaginabile, e inimmaginabile, del lisergico: nessun comico sarebbe mai potuto arrivare a tanto. Nessuno. In attesa che i posteri si abbeverino del suo scibile, chiedendosi al tempo stesso come cavolo fece un paese civile a dare il calcio in mano a uno così, resta lo spazio per citare altre tre gemme. La prima:"I ragazzi, quando lascerò, piangeranno tutti". Come no: una vera tragedia nazionale. La seconda:"La Christillin che ce l'ha messa, i gnomi?". Tavecchio è così elevato da poter perfino generare nuove specie viventi:"i gnomi". E poi il passaggio più struggente:"Son stato un mese a giocare a boccette in Francia!". E qui, non senza lacrime, son partiti i titoli di coda.