23/12/2017 15:57
Seimilaquattrocentotrentadue minuti a correre per costruire la stessa azione, salvare lo stesso gol, esultare e insultare, urlare e zittire, infuriarsi ed esaltarsi. Novantuno partite insieme di Mire e Radja, come quattro giorni e mezzo consecutivi in campo: ce n’è a sufficienza per sentirsi compagni, evidentemente pure per diventare amici. Perché questo sono Pjanic e Nainggolan, (anche) a questo è servito quel pezzo di vita firmato Roma. Oltre tutto, oltre i colori che stasera li divideranno, oltre i tackle o i tunnel che l’uno riserverà all’altro. Nemici mai [...].
Disse un giorno Nainggolan scherzando: «Se Pjanic firma per la Juve non gli parlo più». Era una bugia consapevole, un dribbling poco convinto e mal riuscito in un periodo – maggio 2016 – in cui proprio Radja fu tra i primi a raccogliere le confidenze di Mire sul futuro. E infatti pochi giorni più tardi aggiunse: «Per me lui è come un fratello, continuerò a volergli bene» [...].
Fratelli coltelli, per favore no. Fratelli e basta, con obiettivi evidentemente differenti. Pjanic scelse il bianconero per inseguire uno scudetto che a Roma vedeva sempre come un miraggio: «Giocavamo un buonissimo calcio, in squadra ci ripetevamo sempre che sarebbe stato l’anno buono – ha raccontato il bosniaco di recente alla rivista Undici – Poi però arrivavano partite in cui non eravamo proprio presenti in campo. Alla Juve questo non accade». Non che lui in giallorosso fosse esente da colpe. Non che in bianconero, magari, abbia evitato di scegliere in alcuni frangenti la linea della concretezza a scapito della leggerezza. E questo è piaciuto da matti anche a Massimiliano Allegri, al punto da affidargli la regia della Juve tutta. Qui Radja Nainggolan invece leggero non ci va mai, se s’imbatte nella Juventus. Che sia sui social, in aeroporto, per strada o allo stadio: poco importa, Radja e la Juve è antipatia allo stato puro [...]
(gasport)