10/01/2018 13:41
IL TEMPO (E. MENGHI) - Le otto viti di Francesco Totti. Non è solo un modo di dire, come per i gatti e le loro sette vite, l’ex capitano della Roma ha un cuore d’oro e una caviglia di ferro: una placca di metallo fa parte di lui da oltre 11 anni. La storia la conoscono tutti, era il febbraio del 2006 quando Vanigli in tackle fece urlare di dolore Totti: «Mi sono rotto», il messaggio disperato al medico romanista Brozzi. E infatti gli esami recitavano: frattura del perone con associata lesione capsulo-legamentosa complessa del collo del piede sinistro. Operazione immediata, affidata alle mani esperte del chirurgo Pier Paolo Mariani, che ci ha raccontato un retroscena di quel periodo, quando tutto il Paese era in ansia per sapere se l’ex numero 10 ce l’avrebbe fatta a giocare il Mondiale in Germania e lui, formato robot, sì ce la fece eccome: «Quando l’ho operato gli ho detto che dopo 7 mesi doveva tornare da me perché dovevo levargli le viti, ma lui non se l’è fatte togliere perché aveva paura. Non è una buona cosa avere quel pezzo di metallo in corpo. Con la placca non potrei fargli una risonanza alla caviglia, se dovesse riavere un piccolo trauma lì la presenza delle viti mi creerebbe dei problemi. Ma tanto ormai fa il dirigente…». La seconda vita di Totti, iniziata quest’estate dopo tanti pensieri, e chissà se gli è passato per la testa di andare da Mariani ora che gli scarpini sono al chiodo. Riaprire la vecchia ferita avrebbe comportato allora uno stop di un mese e mezzo circa, i buchi lasciati dalle viti avrebbero dovuto essere riempiti con l’osseina, e non avendo accusato problemi post-operatori l’ex capitano ha preferito non fermarsi di nuovo ai box. Di botte su quella caviglia ne ha prese parecchie in carriera, anche dopo la ricostruzione chirurgica, ma ha retto bene. Fino alla bellezza di 40 anni. Le viti metalliche diventano un problema più serio quando vengono usate nella ricostruzione del legamento crociato del ginocchio, ma i luminari del settore hanno punti di vista differenti sulle varie tecniche di ricostruzione dell’LCA e nella sala conferenze del Campus Bio-Medico, a due passi da Trigoria, si sono riuniti per trovare una soluzione all’aumento esponenziale dei casi di rottura del crociato, ben 8 in questa stagione di Serie A. «Stiamo cercando – confida il Professor Papalia, cattedra di ortopedia al Campus – di puntare su nuove tecniche chirurgiche perla ricostruzione del legamento e su programmi di neuro riabilitazione che non guardano solo al muscolo ma al ritorno psicologico delle motivazioni di cui lo sportivo necessita. Ci preoccupa in particolare la gestione delle lesioni associate, quelle ai legamenti periferici, che possono portare ad un non ottimo risultato chirurgico e ad un non ritorno allo stesso livello di sport di prima degli incidenti». Un ginocchio «originale» e uno operato non potranno mai fornire le stesse prestazioni ed è Mariani a spiegarci il perché: «Noi facciamo un trapianto, è il nome esatto dell’intervento, e quando andiamo afare un trapianto difegato abbiamo delle problematiche sì o no? Sì. Io faccio un trapianto di un tessuto che si chiama tendine al posto del legamento. Quindi costringo una struttura a lavorare come se fosse un legamento. Faccio una cosa contro natura per dare stabilità, non per rifareil ginocchio com’era prima». Il Professore che opera a Villa Stuart utilizza il tendine rotuleo nel 60-70% dei casi: «Per un calciatore è meglio, perché può lavorarci mattina e pomeriggio ed è più funzionale. Poi ci sono sportivi che con il semitendinoso stanno giocando, non c’è una sola soluzione,ma tante. Ogni paziente ha una reazione diversa, basta vedere le cicatrici: ci sono quelle più dure e quelle che si slabbrano, è tutto soggettivo».