08/01/2018 14:13
IL TEMPO (G. GIUBILO) - Se n’è andato anche l’ultimo superstite di un trio che l’Argentina aveva regalato al calcio italiano, come spesso accadeva in quell’epoca. Antonio Valentin Angelillo era uno degli “Angeli dalla faccia sporca“, preceduto nell’ascesa all’Olimpo dei miti del calcio da Maschio e Sivori. Era stato un campione di straordinario talento, che la Roma ha avuto la fortuna di inserire nel novero dei suoi campioni giunti dal Sud America e che il tifo romanista ha avuto la gioia di amare e applaudire, anche negli anni in cui i valori della società non erano ai massimi livelli rispetto allo strapotere delle squadre del Nord. Ma anche a quelle aveva dato il suo contributo, con le maglie rossonere e nerazzurre, il fuoriclasse argentino che dunque non era rimasto nel cuore soltanto dei tifosi giallorossi, ma anche di quelli della metropoli lombarda. Tra la folta rappresentanza di sudamericani sbarcati in Italia per regalare un contributo straordinario alle nostre società, anche la Roma aveva avuto la ventura di schierare nel suo organico quel Valentin che forse aveva dato il suo miglior rendimento all’ombra del duomo milanese. Ma, del resto, era un destino tutt’altro che inusuale, quello delle squadre romane, di ospitare i più grandi campioni quando avevano dato il loro meglio in altri lidi, perché le squadre del Nord avevano risorse economiche che qui a Roma non erano neanche pensabili, salvo quelle gloriose ma brevi incursioni ai vertici del calcio nazionale. Dal punto di vista tecnico, era di un livello fuori dall’ordinario, ma caratterialmente non era facile da governare, tanto che sono passati alla storia gli scontri – non soltanto verbali – con Helenio Herrera, che non era il massimo della simpatia neanche per il tifo giallorosso. Di Angelillo hanno lasciato il segno anche i movimentati rapporti sentimentali, che hanno dato ampio spazio ai pettegolezzi di una città già di per sé molto disposta a immischiarsi nelle vicende più o meno romantiche dei suoi interpreti. Come altri famosi esponenti del calcio sudamericano trasferito in Italia, c’era grande attenzione alle avventure personali dei giocatori più famosi, arrivati a cercare nel nostro Paese una fortuna che del resto era già molto consolidata nella loro patria. Logico che qui a Roma trovassero fertile terreno tutte le vicende legate alle esuberanze di un giocatore sempre sopra le righe come lui. Si era regalato tante incondizionate simpatie da parte dei tifosi. Anche l’appellativo di “Angeli dalla faccia sporca“, che condivideva con i compagni di nazionale Maschio e Altafini, derivava dalla larga popolarità che quel trio si era assicurato grazie alle prestazioni e alla spiccata personalità: il tifo era tutto dalla loro parte e quel sentimento veniva accentuato dall’affetto quasi nullo che riscuotevano i Generali al potere. Aveva instaurato, Angelillo, anche un rapporto molto cordiale con la stampa italiana, alla quale dedicava grande disponibilità nell’agevolare il compito dei cronisti e renderlo, se possibile, ancora più popolare. Nella sua parentesi romana non era mai venuto meno alla professionalità che il suo ruolo richiedeva. E questo aveva determinato una simbiosi con il tifo giallorosso che nessuno avrebbe potuto scalfire. E dunque, con molto rimpianto, è giusto salutare l’ultimo rappresentante di quegli “Angeli“ che hanno rappresentato per il calcio, e non soltanto per quello italiano, una storia che nessun avvenimento avrebbe potuto offuscare. Ormai era diventato uno di noi a tutti gli effetti e per questo va salutato con grandissimo amore. Lo ricorderemo sempre come un buon amico, disposto a dispensare sorrisi ed affetto. E dunque, con molto rimpianto, è giusto ringraziare l’ultimo esponente di quegli “Angeli” che hanno rappresentato per il calcio, e non soltanto per quello italiano, una storia che nessun avvenimento potrà mai offuscare.