30/04/2018 13:20
IL MESSAGGERO (A. ANGELONI) - «Un po' pignolo, ma non certo integralista. Papà ama mettersi in discussione, sa convivere con le critiche, è uomo aperto, per nulla rancoroso. Per me è un modello calcistico, oltreché di vita», firmato Federico. Che di cognome fa Di Francesco. Diverso nel fisico, uguale per i valori. Carattere tosto, tipico della terra d'Abruzzo. «Noi abruzzesi siamo cordiali, accoglienti. Educati». Federico tifa per il papà, dopo l'abbaglio con il Barça è pronto a sostenerlo anche mercoledì. La partita delle partite.
Ce la farà la Roma?
«Non lo so, è difficile. Ma io lo spero tanto. Ha dimostrato di essere in grado di fare certe imprese. Conoscendo papà, non parte certo battuto. Ci proverà, sicuro»
Lei, un abruzzese nato a Pisa.
«Pisa è una città di passaggio, sono stato lì solo il giorno in cui sono nato. Papà giocava a Lucca. Di città ne ho viste tante, da Gubbio a Cremona, fino a Parma e ora a Bologna. Ma io mi sento al cento per cento abruzzese. Sambuceto è mio il punto di riferimento da sempre. Lì ho i miei cari, i nonni. Persone straordinarie».
Scopriamo che i modelli sono i nonni e non il papà.
«No, no, anche lui. Ma nonno Arnaldo è il capo, di lui ho una stima immensa. Ha fatto sacrifici nella vita ed è stato ripagato. Faceva il facchino in un albergo negli anni cinquanta, poi ha aperto le sue attività dopo tanti sacrifici, è ancora è lì, con mia nonna sempre tra le attività che ha creato. Mio padre è stato tenace allo stesso modo: è riuscito a fare quello che voleva».
E' vero che gli abruzzesi sono un po' testardi.
«No, non è così. Sono bellissime persone, gentili, di cuore. Se si affezionano, non ti mollano. I ricordi dell'infanzia: case sempre piene di amici, parenti. La famiglia sempre al centro di tutto».
Anche lei ha fatto sacrifici nella vita?
«Spostarsi da una città all'altra non è stato semplice, era un ricominciare sempre. Ma le mie sono state rinunce di un ragazzo, non sacrifici. Io ho avuto più vantaggi rispetto a mio padre. Sono nato fortunato».
Certo, aveva il papà calciatore, che ha giocato nella Roma.
«Ecco, Roma. Una città bellissima. Ero piccolo quando stavamo lì, ricordo Trigoria come un parco giochi. Mio papà mi ci portava quando doveva fare le terapie: l'anno dello scudetto s'era rotto il crociato. Saltavo la scuola e andavo lì, mattinate di gioia».
Lo scudetto lo ricorda?
«Ricordo bene la partita finale, che purtroppo non ho visto all'Olimpico, ma a casa».
Eusebio oggi è un eroe a Roma.
«Ovvio, ha battuto il Barcellona. Impresa mica da ridere, se lo merita. Era felicissimo, ora gli tocca un'altra battaglia. Ma è pronto».
Ci crede quando Eusebio racconta di non aver dormito la notte per trovare una soluzione anti Barça?
«Non faccio fatica. A Pasqua sono venuto a Roma per stare con i miei genitori. Gli dicevo, papà andiamo a fare un giro. Macché, doveva vedere i video per preparare la gara di andata. Nel suo lavoro è maniacale, ma fa bene, lo farà ancora».
Che rapporto ha con suo padre?
«Molto bello. Ora tra noi c'è un dialogo da uomini, un rapporto alla pari. Quando ero più piccolo con me, sarà che sono il primogenito, era molto pignolo. E certe volte, mamma mia...».
E sua madre, Sandra?
«Lei faceva da tampone. Ecco, si parla poco di mia mamma e ora che lo faccio io magari si arrabbierà pure, ma lo merita davvero. E' una donna eccezionale, sempre nell'ombra, lontano dai riflettori, mai protagonista. Ha fatto la moglie e la mamma, senza entrare nella ribalta calcistica. E' stata fondamentale per noi tre fratelli e per papà».
Ricorda il suo esordio in A?
«Certo, a Parma, Pescara-Parma, avevo diciotto anni, sul pullman mi sono emozionato».
E lì ha detto: sono arrivato.
«Sono arrivato proprio no. L'anno dopo sono tornato in C, e non è stato facile per niente. A Cremona ho incontrato Giampaolo, un grande allenatore. Devo tanto anche a Bucchi, che mi ha fatto esordire con la maglia del Pescara, quando stavo vivendo un momento triste per la morte di mio cugino e mi sentivo molto giù. Quei momenti mi hanno aiutato a crescere».
A Bologna come si trova?
«Molto bene, anche se il periodo non è dei migliori. Vivo in centro, amo passeggiare, respiro la storia di questa città, la gente è discreta, quasi ha paura di disturbarti. Di meglio non potevo trovare».
Beh, Roma, ad esempio.
«C'è papà, lui non vuole».
E ci crede?
«Sì, sarebbe dura. Staremmo in difficoltà. Per ora faccio il tifo per lui e per la Roma. Diciamo che mi piacerebbe essere allenato da un allenatore come lui, poi è mio padre e diventa complicato. Mai dire mai, però».
Si ricorda la prima volta che ha affrontato suo padre da calciatore?
«L'anno scorso, due volte contro il Sassuolo. Ma giocai titolare solo nel ritorno fuori casa. Quella che ricordo di più è all'Olimpico contro la Roma: molto emozionante».
Lei si sente in competizione con suo padre?
«Vorrei fare meglio di lui. Ma troppo devo pedalare».
Eusebio ha vinto lo scudetto a Roma, ha giocato in Nazionale.
«Per questo è difficile superarlo, ma è un mio obiettivo. È una sana rivalità».
Consigli gliene ha mai dati?
«Non come allenatore, è uno molto discreto in questo. Mi ha sempre lasciato fare, mi ha dato la possibilità di inseguire i miei sogni. Lo sento vicino come padre, non come allenatore».
A Roma ha vissuto anche momenti difficili.
«Sì lo so, me ne sono reso conto. Ma lui non si abbatte facilmente, crede nel suo lavoro e va avanti. Le critiche le ha sempre ascoltate e accettate, fanno parte del gioco».
Lei è più mammone o pende dalle labbra di papà?
«Da piccolo mi appoggiavo più a mia madre. Ora che sono maturo, ascolto anche il papà».
Il suo essere pignolo, ora diventa l'esempio.
«Si, una volta dicevo che pizza, papà, oggi mi sento di seguire certi insegnamenti, faccio attenzione ad altre cose che prima non notavo. E quelle frasi te ne accorgerai quando sarai grande, oggi capisco che sono vere».
Ma avrà dei difetti, Eusebio?
«Si certo, ma è una persona che stimo. E' sempre tranquillo, educato con tutti».