05/04/2018 16:00
LAROMA24.IT - Spagna-Italia 7-1. Dopo la Juve capitola anche la Roma nel primo atto dei quarti di Champions. I giallorossi, puniti oltremodo dalle decisioni arbitrali e dai propri errori, escono sconfitti dal Camp Nou nonostante l'impegno encomiabile da parte dell'undici di Di Francesco.
Ecco i commenti di alcuni degli opinionisti più importanti della stampa, pubblicati sulle colonne dei quotidiani oggi in edicola.
LA REPUBBLICA (G. MURA)
La Roma gioca una partita più che dignitosa, anche bella nell’assalto alla ricerca del gol, ma il risultato è brutto, oltre che immeritato. Se qualche speranza poteva accendere l’1-3 di Dzeko, il 4-1 di Suarez l’ha spenta. Certo, c’è sempre la remotissima possibilità che una jella cosmica si riversi sui blaugrana al ritorno, ma è remotissima, appunto. Al 3-0 del Real a Torino segue il 4-1 del Camp Nou. È coi numeri che bisogna fare i conti e i numeri dicono che le due italiane sono al 99% fuori.
Non c’era un giocatore stellare come CR7 contro la Roma, ma una squadra in buona parte stellare, che pure ieri sera non ha riempito gli occhi. Messi non ha segnato, Suarez sì, nel finale, dopo 13 mesi a digiuno in Champions. I primi due gol di un Barça più cinico che irresistibile sono autoreti: prima di De Rossi, poi di Manolas. Due mazzate micidiali, la Roma accusa la seconda e arriva il gol di Piqué. Ovviamente amareggiato Di Francesco, che aveva preparato bene la partita. Ha impedito, tenendo piuttosto alti i suoi, che il sommo Barcellona facesse tutto quello che voleva. Ha fatto quello che poteva, non poco, trovando difficoltà a imporre il suo gioco contro una squadra attenta, disposta al sacrificio ma non remissiva, anzi sempre pronta a ripartire. I centrocampisti giallorossi si sono battuti con puntiglio. Piaciuto lo spirito di Pellegrini, il più giovane. Alla fine, pesante l’assenza di Nainggolan. Di Francesco ha avanzato Florenzi sulla destra (benino) inserendo a terzino Peres, che non ha combinato i temuti disastri. Sul punteggio pesano anche due errori arbitrali. Il primo sullo 0-0 quando Semedo atterra Dzeko: rigore netto, non concesso. Il secondo sullo 0-1, meno evidente, quando Umtiti aggancia un piede di Pellegrini esattamente sulla linea bianca. L’arbitro fischia per la punizione dal limite, ma era rigore. Se la Roma sconta ogni errore, il Barça no. Una comica di ter Stegen, che pretende di dribblare Florenzi, gli si ritorce contro. Ma non paga dazio, para su Defrel. E a completare la frittata arriva Gonalons, ed è l’ingiusto 1-4. È già forte senza che gli si facciano regali, il Barça. Se oltre all’arbitro gli fa regali anche la Roma, il risultato si spiega. Messi è in prima fila nell’azione più bella della partita, lo scambio velocissimo e rasoterra con Iniesta su cui De Rossi devia alle spalle di Alisson, ma ha vissuto serate più artistiche e ispirate. Ha più camminato che corso. I migliori del Barça: Iniesta, Sergi Roberto, Busquets e Rakitic (un palo).
IL ROMANISTA (D. LO MONACO)
Per uscire dal Camp Nou magari non indenni, ma con più solide possibilità di passaggio del turno rispetto a un risultato che obiettivamente riduce al minimo queste chances, la Roma avrebbe dovuto poter contare sull’aiuto della sorte in alcuni episodi chiave, prima della partita e durante, ma anche su un più alto tasso di attenzione nei momenti chiave dell’incontro. Per i malanni che hanno oggettivamente limitato le alternative a Di Francesco, togliendo due uomini (Under e Nainggolan) che sarebbero stati fondamentali per respingere e magari spaventare nelle ripartenze i rivali spagnoli e anche per averlo costretto a puntare su uomini dal profilo dinamico limitato che hanno sicuramente dato tutto quello che avevano, garantendo però un prodotto non sufficiente a garantire lo standard richiesto da questi livelli di confronto. C’è un evidente deficit dinamico nel centrocampo romanista e se Monchi vuol migliorare questa squadra per le prospettive di vertice nazionale e europeo è soprattutto lì che deve guardare.
In campo, invece, troppi episodi interpretati malamente (non solo dall’arbitro) hanno deciso le dimensioni del risultato. Eppure la Roma avrebbe potuto fare qualcosa di più anche al netto degli errori commessi.
GAZZETTA DELLO SPORT (A. DE CALO')
Quando l’Italia del calcio pensa di potersi misurare alla pari con la Spagna è come se puntasse gli occhi verso il sole: resta abbagliata. Il saldo di questo round di Champions è un 1-7 che lascia poche o nessuna speranza a Juve e Roma. Al Camp Nou, Leo Messi non ha bisogno di rispondere con qualche storico exploit al capolavoro torinese di Cristiano Ronaldo, suo eterno duellante. All’asso argentino basta materializzarsi come un’ombra alle spalle di De Rossi per indurre il capitano della Roma all’autogol, sul finale del primo tempo. Da quell’1-0 che ha funzionato da apriscatole è derivato tutto il resto. Non è che i giallorossi abbiano fatto una brutta figura, anzi. Un arbitro diverso avrebbe potuto fischiare un paio di rigori, in pieno equilibrio: episodi che avrebbero finito con lo spostare l’inerzia della partita. Di Francesco è stato bravo a preparare il match, con buone chiusure degli spazi tra le linee, pressing abbastanza compatto, voglia e coraggio di andare a fare del male. Però l’impressione è che mentre la Roma stava dando più o meno il massimo della potenza attuale – considerata anche l’assenza forzata del trattore Nainggolan – i blaugrana se la stessero giocando a media luz, con la tranquillità dei più forti e la pazienza di chi sa che andrà a imporre la sua categoria (24 successi nelle ultime 26 partite di Champions al Camp Nou).
Messi non sta benissimo, pensa già al Mondiale e intanto si gioca senza fretta le carte di un possibile terzo triplete. Non è un Barça folgorante, questa squadra di Valverde sembra una cugina abbastanza lontana del vecchio squadrone di Guardiola e anche della maquina di Lucho Enrique, che nel 2014-15 era andata a prendersi la Champions nella finale con la Juve. Per dirla tutta, anche il Real Madrid visto martedì allo Stadium è uno squadrone fortissimo, ma lontano dalla perfezione a cui ci aveva abituato in altre stagioni. Eppure la differenza è stata più o meno la stessa. Questo 7-1 ci dice che il nostro calcio è messo peggio di come pensavamo, che i protagonisti implacabili dei weekend italiani non sono altrettanto decisivi e tendono a perdersi nel mare aperto del futbol europeo. Conviene a tutti fare i conti con questa realtà, maturare nuove scelte e cambiare.
IL GIORNALE (R. PERRONE)
Al di là di recriminazioni varie e assortite, malgrado buone prestazioni e considerando che i fenomeni stanno tutti di là, tra Italia e Spagna, club o nazionale che sia, c’è sempre un oceano di distanza, non solo un pezzo di Mediterraneo. La Roma favorisce il Barcellona con due autoreti e una respinta non ineccepibile di Alisson, ma soprattutto con un atteggiamento offensivo troppo riservato. Quando si accende nel finale trova un gol di Dzeko che tiene aperta la speranza fino alla zampata di Suarez. La squadra di Eusebio Di Francesco sta in equilibrio sulla partita, un po’ come la Juventus tra il primo gol di Ronaldo e la leggenda. Il Barca è meno cinico del Real Madrid, c’è anche una concezione culturale e politica a dividere le due squadre. Il Real è il potere che non fa sconti, ha la faccia cattiva. Il Barcellona anche quando ti schiaccia sembra che sia meno spietato, meno cattivo più vicino a te. Però alla fine non cambia niente. Il flusso della storia va solo in una direzione. Sfortuna, bravura dell’avversario, decisioni arbitrali discutibili (forse), tutto quello che vogliamo, ma anche la Roma dopo la ]uventus trasmette un senso di impotenza nei confronti della Spagna calcistica. E’ quello che proviamo, salvo qualche eccezione, quando la affrontiamo. A parte gli Europei 2016 con la Nazionale del condottiero Conte e qualche buona serata di coppa (su 180 minuti), con la Spagna da dieci anni, dai rigori di Vienna (Europei 2008), il confronto è sempre a nostro svantaggio. La Roma non dà mai l’idea di essere in balia del Barca. Però si ritrova con l’avventura in Champions praticamente conclusa.
CORRIERE DELLO SPORT (A. VOCALELLI)
La Spagna ci ha costretti allo spareggio Mondiale e sappiamo com'è finita. La realta è che la Roma si è fatta due autoreti, ha sbuffato e lottato come più non poteva, ma alla fine - appena segnato il gol della speranza con Dzeko - si è ritrovata con lo stesso scarto finale. Il risultato è probabilmente bugiardo, ma è sincera la fotografia di una stagione - e non c'entra questa partita - che a meno di un miracolo all'Olimpico tra sei giorni si ridurrà nella difesa dal terzo posto. Troppo poco per una squadra che da sette anni non alza un trofeo e - senza perdere di vista il finale di stagione - deve comunque cominciare a guardare al futuro. Per crescere, migliorarsi. E Pallotta, che anche ieri ha lasciato da sola la sua Roma, farebbe bene a dare una mission diversa ai dirigenti, per evitare che il primo bilancio da salvare sia sempre quello economico e non quello sportivo. E per fare in modo che una delle migliori Roma - e questo assolve un sincero e bravissimo Di Francesco- riesca in futuro a ottenere molto di più, quando incontra un Barcellona a ritmo lento.