24/04/2018 13:58
LA REPUBBLICA (M. PINCI) - Quando parla di lui, Jürgen Klopp pare indossare i guanti, quasi rischiasse di sgualcire le sete orientali di cui è fatto. E forse mente, quando dice che «se Salah è il calciatore che ci stiamo godendo ad Anfield, è anche grazie alla Roma». In realtà da quando è tornato in Inghilterra, da dove Mourinho l’aveva esiliato nel 2015, Mohamed Salah non somiglia nemmeno un po’ all’esterno che a Roma faceva segnare Dzeko e falliva più gol di quanti ne facesse. Se stasera Klopp potrà festeggiare le 150 partite col Liverpool in una semifinale di Champions League, è soprattutto perché Salah non sbaglia mai. Semmai, ha aggiunto colpi a un repertorio che pareva limitato a irresistibili fughe a testa alta, accenni di dribbling e tiri mancini sul secondo palo. Se durante gli anni italiani le lunghe fughe ne offuscavano la vista, al Liverpool ha ridotto i metri da coprire e aumentato la produzione. Due conclusioni su tre le mette in porta, l’avversario lo salta una volta su due, anche di più. E dei 31 gol in Premier, roba che fino a oggi era stata appannaggio esclusivo di gente come Shearer, Cristiano Ronaldo e Suarez, “solo” 24 li ha segnati col suo piede sinistro, addirittura 5 col destro, oltre a una minima dose di colpi di testa riusciti. Viene da chiedersi se sia nato prima l’uovo o la gallina. Ossia: è Salah che contribuisce a fare del Liverpool di Klopp il miglior attacco mai visto ad Anfield dal 2004, quasi 2 gol e mezzo a partita? O è la capacità dell’allenatore di sviluppare il gioco offensivo col mitico gegenpressing, ad aver trasformato l’esterno egiziano in un attaccante implacabile? Giochino divertente ma superfluo. Di certo a Roma - dove il conto dei gol lo tengono da quando se ne è andato - nonostante i colleghi Firmino e Mané, non si parla che di lui: Di Francesco ha negato di studiare una soluzione speciale per fermarlo, qualche giocatore lo confessa, ma senza esporsi. Vogliono fargli una sorpresa, i suoi ex compagni.