IL PUNTO DEL GIOVEDI' - Mura: 'grazie Roma', Carmellini: 'giallorossi a testa alta', Garlando: 'squadra sempre più internazionale'
03/05/2018 15:58
LAROMA24.IT - Nonostante una grande partita vinta per 4-2 all'Olimpico contro il Liverpool, la Roma non riesce nell'ennesima impresa ed esce dalla Champions League ad un passo dalla finale. A mettere i bastoni tra le ruote ai giallorossi ci ha pensato l'arbitro Skomina, che ha negato un rigore solare alla squadra di Di Francesco a mezz'ora dalla fine della partita. La Roma esce comunque a testa alta da una competizione in cui, partita tra lo scetticismo generale, è riuscita a stupire e far sognare i propri tifosi e non solo.
Ecco i commenti di alcuni degli opinionisti più importanti della stampa, pubblicati sulle colonne dei quotidiani oggi in edicola.
LA REPUBBLICA (G. MURA)
Grazie Roma. Lo si può dire, o cantare, o semplicemente pensare.
Il 4-2 non basta a portare la squadra a Kiev, ma dice molto sullo spessore europeo di una Roma che esce battuta sì, ma a testa alta. Dagli esperti ai tifosi, dopo il sorteggio quasi tutti l’avevano data per eliminata. Con
Atletico e
Chelsea, dove credete di andare? Per di più, con un tecnico che non conosce il grande calcio europeo? Ieri sera abbiamo visto la vittoria (morale) di Eusebio
Di Francesco. Non è inutile, tutto serve. Anche uscire a testa alta, mangiati dai crampi, dopo aver inflitto l’unica sconfitta al Liverpool nel suo brillante cammino europeo. Tutto si era deciso ad
Anfield Road. I due gol che addolcivano fino a un certo punto i 5 presi erano il colpo di coda di una squadra coraggiosa e sventata, capace di eliminare il
Barcellona con una rimonta quasi miracolosa, ma si sa che i miracoli, se arrivano troppo spesso, miracoli non sono più. Una squadra capace di ridurre Messi ai minimi termini, ma impotente di fronte alla velocità e all’estro di Salah.
Una squadra capace di passare da fortissima a fragile in pochi minuti, e viceversa. Fragile non è il Liverpool, non come il Barça almeno. Ha giocato come gli consentiva il risultato dell’andata, è passato due volte in vantaggio, ha mostrato una velocità più bassa, anche perché di forzare i ritmi non aveva alcun bisogno. Ha gestito il risultato, il rigore del 4-2 è arrivato troppo tardi per mandarlo in tilt. Le conferme: il gran cuore della Roma, il funzionamento della tenaglia Kolarov-El Shaarawy, la caparbietà di Dzeko nel lottare su ogni pallone. In negativo: le leggerezze difensive, perfino Alisson ha contribuito, e lo scarso contributo di Pellegrini e Schick. Quand’è uscito El Shaaarawy, Di Francesco ha dovuto mandare in campo Antonucci, un ragazzo del’99.
Bisogna aggiungere che alla
Roma è andata bene sull’autogol di Milner, meno in altre circostanze. Mi riferisco al palo colpito da El Shaarawy e soprattutto al clamoroso “mani” di Alexander Arnold sempre su tiro di El Shaarawy, molto intraprendente. Era più rigore questo di quello concesso a fine partita. Poteva essere il 3-2, se concesso e realizzato, con ben altra pressione sul Liverpool: era il 20’st. È un rimpianto in più, anche se la Roma ha rischiato molto, nel secondo tempo, con una difesa sguarnita, un po’ per necessità un po’ perché la voglia di rovesciare il risultato spesso non va d’accordo con le distanze tra i reparti. Tutta l’Europa che ha attraversato la
Roma se l’è sudata e meritata. È uscita per ultima, davanti al cancello della finalissima. E con un Liverpool che, parere personale, a Kiev ci va da favorito.
Trentaquattro anni dopo la storia si ripete. Sempre nella
Coppa dei Campioni che l'evoluzione dei tempi ha trasformato in Champions League, ancora il Liverpool: una maledizione. Ma stavolta fa un po' meno male per come ci è arrivata questa Roma partita a fari spenti contro tutto e tutti, capace di piombare a due passi dal sogno. In quel 30 maggio 1984, in quell'Olimpico ancora formato post bellico giocò una squadra con i favori del pronostico alle spalle, nell'ultimo atto della massima competizione europea e le ferite di quei rigori sono ancora lì a far male sulla pelle di chi ha un cuore giallorosso a battergli in petto. Oggi è tutta un'altra storia e racconta l'entusiasmo del popolo romanista che ancora una volta ha risposto «
presente» nonostante il drammatico 5-2 dell'andata. Ecco, molto probabilmente la squadra di
Di Francesco, che ieri sera è uscita a testa alta dall'Olimpico in festa nonostante tutto, ha buttato ad
Anfield quel biglietto per Kiev che aveva quasi miracolosamente pescato dal fondo del suo cilindro. Alzi la mano però chi, lo scorso 24 agosto dopo quel sorteggio infame che aveva messo i giallorossi davanti a
Chelsea e
Atletico Madrid, avrebbe scommesso un euro di essere qui a giocare l'accesso alla finale di Kiev contro il Real. E tutto dopo aver, non solo vinto il girone, ma anche eliminato lo Shakthar prima e i fenomeni del
Barcellona poi. Probabilmente il vero miracolo la
Roma lo aveva già fatto lì e chiedere a questa squadra, che lascia comunque la Champions come migliore delle italiane, di più sarebbe stato davvero troppo. Perché si può chiudere anche un'altra stagione senza aver vinto nulla, ma farlo dopo aver centrato una semifinale di Champions (e portato a casa cento milioni di euro) e con il pass valido per l'Europa che conta della prossima stagione quasi in tasca, e una serata come quella di ieri sera all'Olimpico,è tutta un'altra cosa. Ma conta il risultato e questo ha detto chiaramente, che nei centottanta minuti,il Liverpool è stato più forte: parlano i numeri nonostante questo 4-2. La squadra di Klopp eguaglia il record di gol realizzati in una semifinale di Champions e dopo i cinque realizzati ad Anfield ieri sera non si è fermato nonostante un Olimpico che ha fatto registrare il record d incassi della storia del calcio italiano a quota cinque milioni e mezzo di euro. Il sogno è durato venti minuti. Primo errore giallorosso dopo un avvio tutto romanista e
Mané castiga la Roma: 0-1.Ma il gelo dell'Olimpico dura sei minuti perché l'autogol di Milner azzera tutto di nuovo. Il macigno vero, quello che cambia la serata è il colpo di testa in solitaria di Wijnaldum che inchioda, incredibilmente, Alisson per la seconda volta. Sul 2-1 diventa dura, la Roma accusa la botta,continua a provarci, colpisce un palo con El Shaarawy, ma ad ogni ripartenza dei Reds la retroguardia giallorossa rischia.Ne esce un finale da infarto con la Roma che attacca a testa bassa (dentro Under per Pellegrini) e a dirla tutta è anche sfortunata.Va sul 2-2 col gran gol di
Dzeko, ma poi il batti e ribatti davanti ai pali di Karius in un modo o nell'altro finisce sempre a favore dei Reds e anche quando c'è un rigore solare (fallo di mano clamoroso di Arnold che salva la porta sulla botta di Under) lo sloveno
Skomina dice che va bene così. Palla sul dischetto sul 2-2 con mezz'ora da giocare avrebbe potuto cambiare tutto,o forse no...non lo sapremo mai .L'incredibile doppietta finale firmata
Nainggolan che fissa il risultato sul 4-2 non fa che aumentare il rammarico per tutto: per il penalty non concesso, per le tante occasioni sprecate e per quel blackout fatale ad Anfield. La Roma lascia la Champions e con lei ciò che resta dell'Italia, i gufi possono smontare i trespoli sui quali hanno tremato anche ieri sera e arrivederci al prossimo anno.Ora subito il Cagliari per blindare un'altra incredibile avventura.
GAZZETTA DELLO SPORT (L. GARLANDO)
Ne accadesse uno al mese, non li chiamerebbero miracoli. Stavolta alla Roma non è riuscita la rovesciata spettacolare che ha stecchito il Barcellona. Nulla di extra-naturale. Ma l’imperfetta umanità dei giallorossi merita comunque un’ovazione. I giallorossi hanno cominciato la partita con la necessità di segnare 3 gol, passati in svantaggio si sono trovati nella condizione di doverne fare 4. Al fischio finale, mancava un solo gol all’impresa e gli inglesi si sdraiavano sul prato con il fiatone dei sopravvissuti. In questa Champions, il Liverpool non aveva ancora perso una partita. Quando gli uomini di buona volontà ci mettono cuore e orgoglio, sembrano quasi dei. Brava, Roma. [..] Non è un caso che la Roma sia uscita per ultima, perché è stata quella che più ha cercato di equipararsi ai parametri internazionali: coraggio tattico, fisicità, corsa, intensità. Vedi il doppio incrocio con il Chelsea. Senza il suicidio tattico della partita di Anfield, forse... O forse no. Perché in realtà anche ieri il Liverpool ha dato l’impressione di uscire da una partita ritenuta, almeno inconsciamente, troppo semplice. Quando la banda Firmino ha chinato la schiena sulla scrivania e si è concentrata sulla pratica, ha procurato danni, sia a Liverpool che a Roma. La squadra di Klopp è una fiamma che diventa incendio in un amen, appena Salah e Mané aprono il gas. Più che giocare, divampa. Ecco, anche qui il nostro calcio deve crescere: nessuna squadra italiana può concedersi il ritmo folle che il Liverpool ha imposto ad Anfield. In questo senso, il nostro campionato tattico, che ha dilatato i valori tra piccole e grande, non è affatto allenante. E quando mancano equilibrio e partite in bilico, è quasi impossibile allenare una concentrazione feroce che in Champions poi fa la differenza. Avete visto ieri l’allegro passaggio al centro di Nainggolan che ha mandato in gol Mané? Juve e Roma sono state bastonate da sviste arbitrali, ma sono state eliminate soprattutto dalle sciagurate letture difensive di Benatia e Manolas. Pensiamoci, lavoriamo, miglioriamo e convinciamoci: non siamo poi così lontani dalle finaliste di Kiev.
CORRIERE DELLA SERA (M. SCONCERTI)
Non è un caso che la Roma sia uscita per ultima, perché è stata quella che più ha cercato di equipararsi ai parametri internazionali: coraggio tattico, fisicità, corsa, intensità. Vedi il doppio incrocio con il Chelsea. Senza il suicidio tattico della partita di Anfield, forse... O forse no. Perché in realtà anche ieri il Liverpool ha dato l’impressione di uscire da una partita ritenuta, almeno inconsciamente, troppo semplice. Quando la banda Firmino ha chinato la schiena sulla scrivania e si è concentrata sulla pratica, ha procurato danni, sia a Liverpool che a Roma. La squadra di Klopp è una fiamma che diventa incendio in un amen, appena Salah e Mané aprono il gas. Più che giocare, divampa. Ecco, anche qui il nostro calcio deve crescere: nessuna squadra italiana può concedersi il ritmo folle che il Liverpool ha imposto ad Anfield. In questo senso, il nostro campionato tattico, che ha dilatato i valori tra piccole e grande, non è affatto allenante. E quando mancano equilibrio e partite in bilico, è quasi impossibile allenare una concentrazione feroce che in Champions poi fa la differenza. Avete visto ieri l’allegro passaggio al centro di Nainggolan che ha mandato in gol Mané? Juve e Roma sono state bastonate da sviste arbitrali, ma sono state eliminate soprattutto dalle sciagurate letture difensive di Benatia e Manolas. Pensiamoci, lavoriamo, miglioriamo e convinciamoci: non siamo poi così lontani dalle finaliste di Kiev.[..] Forse la Roma è stata all’altezza del Liverpool, ma nessuno dei due è all’altezza del dio del calcio, nemmeno il Real. Pazienza, cercheremo di divertirci comunque.
LEGGO (R. BUFFONI)
Il designatore arbitrale Pierluigi Collina dovrebbe arrendersi e uscire con le mani alzate. Quanto visto in tutta questa edizione di coppe europee ai danni delle italiane tutte, dal Milan all'Atalanta, dalla Lazio alla Juve e naturalmente alla Roma, sarebbe troppo se ci fosse una Federcalcio in grado di farsi rispettare in sede Uefa. Ieri il signor Skomina e i suoi cinque collaboratori, tutti sloveni, sono stati assolutamente insufficienti. Un rigore nettissimo non dato alla Roma sul 2-2 per una vera e propria parata di Arnold su El Shaarawy, ma ancor prima un altro penalty evidente di Karius su Dzeko non sanzionato per il fuorigioco, molto ma molto dubbio, sbandierato dal guardalinee. Errori che nel nostro campionato il Var avrebbe al 99 per cento corretto (la certezza abbiamo visto non esistere nemmeno con il replay a bordo campo). Ma Ceferin, presidente Uefa, ha detto che no, il Var nelle coppe ancora non si può. E allora soltanto nelle due semifinali di ritorno si sono viste due parate di terzini (Marcelo del solito Real e ieri Arnold) che nel 2018 minano la credibilità del torneo più prestigioso del mondo. Il presidente della Juventus e dell'Eca (la Lega dei club europei) Agnelli, dopo Real-Juve, andata com'è andata, ha preso la parola per chiedere, senza mai nominarlo, la testa dell'ex arbitro viareggino, una volta il migliore fischietto del mondo. La sensazione è che questa partita sia soltanto all'inizio ma che l'Italia la stia già ampiamente perdendo.