21/09/2018 16:22
IL TEMPO (E. MENGHI) - Ventidue uomini non fanno una squadra. Di Francesco ha sfruttato al massimo la profondità della sua rosa, arrivando ad usare due formazioni intere nel giro di 5 partite, alla ricerca di una Roma che non c’è più. Anche l’anno scorso ci mise tanto a scegliere l’undici ideale, a parità di gare in avvio utilizzó 21 giocatori, soffermandosi peró su una struttura di base abbastanza precisa, con il blocco Nainggolan-De Rossi-Strootman a centrocampo e l’attacco che in tre occasioni su cinque prevedeva l’intoccabile Dzeko, Defrel e Perotti.
Quest’anno li ha provati tutti tranne i due portieri di riserva, Mirante e Fuzato, e i baby Luca Pellegrini e Coric, rimasti entrambi a casa nella prima notte di Champions. Karsdorp e Kluivert sono stati convocati, ma gli è toccata una tribuna “di crescita”, un modo per tenere i giovani coi piedi per terra, mentre la new entry Zaniolo giocava (meritatamente) una partita “da grande”. Solo 4 giallorossi sono stati utilizzati a tempo pieno, 450 minuti totali per Dzeko, Kolarov, Olsen e Manolas, colonne portanti a prescindere dagli errori individuali o da una condizione fisica non ottimale. Da De Rossi in giù hanno ruotato quasi tutti, compreso Strootman prima di volare a Marsiglia e lasciare il cantiere aperto a centrocampo, dove si sono alternati ben 6 calciatori, e tutti almeno una volta sono stati titolari. Non è una questione di turnover, ma una caccia alla mediana che fornisce più garanzie, e non solo, perché riguarda tutta la rosa: mai è stata schierata la stessa formazione fin qui. Si continuano a cambiare interpreti e strategie, senza venirne a capo: “Sto lavorando - ha ammesso Di Francesco al Bernabeu - sul 4-3-3 e 4-2-3-1, come fa il Real. Stiamo cambiando così tanto e mi viene da sorridere perché con il 4-3-3 abbiamo fatto sia bene che male. Dobbiamo trovare realmente l’identità e l’anima”.
La sfida di Madrid non è certo un parametro di riferimento, 8 su 11 erano giocatori della passata stagione, quelli che hanno vissuto la notte col Chelsea o col Barcellona. Eppure non sembravano gli stessi. I vecchi sono irriconoscibili e i nuovi devono prendere confidenza con le tattiche dell’abruzzese, che l’anno scorso aveva l’attenuante di aver iniziato a lavorare con la squadra al completo solo a ridosso dello start del campionato, mentre stavolta Monchi ha giocato d’anticipo e il grosso del lavoro l’ha fatto tra giugno e luglio. Niente alibi, quindi, e una respinsabilità da spartirsi per una Roma che fa 1 punto di media a partita, e non puó (più) permetterselo. Da Bologna si deve ripartire, perché è già tardi e le avversarie vanno veloci. La Juventus-modello deve far fronte a infortuni e squalifiche che obbligheranno Allegri a rivedere adesso una squadra a cui raramente mette mano: 17 giocatori schierati, più 1 minuto di Rugani. Ma loro, pur rivoluzionandosi, hanno già trovato l’equilibrio vincente che a Trigoria cercano disperatamente tra le facce sconsolate dei leader e la freschezza delle giovani promesse. Da qualche parte la Roma c’è (ancora), deve solo ritrovarsi