20/09/2018 13:39
LA REPUBBLICA (M. PINCI) - "Madrid, y nada mas", scandiva il Bernabeu calando il sipario sulla prima vittoria Europa d. C., dopo Cristiano. E pareva quasi la sintesi della serata della Roma: Madrid, inteso come Real, e niente di più. Provare a non perdere è una cosa, non far nulla per tentare di vincere è una storia diversa. E i 20 gol subiti nelle ultime sette trasferte di Champions League sono una lettera scarlatta sulla faccia europea del club, lustrata dalla semifinale di un anno fa. Che pareva un punto di partenza e ora è diventata una gabbia. La Roma davanti alle 13 Champions del Real Madrid s’è ritrovata schiacciata in un gioco perverso, in cui più cercava di dimostrare di aver superato quel passato trasformato dalle cessioni estive in quattrini sonanti, più invece finiva per rimpiangerlo. Certo ora ci vorrà coraggio per invocare Alisson, visto che le mani, i piedi e chissà cos’altro di Olsen sono stati l’unica soluzione che ha trovato la Roma per contenere sul 3- 0 la valanga Real, ma tant’è. La litania dei tifosi contro Pallotta "pezzo di m..." lo sottolinea. Anche perché la nuova versione della squadra che Di Francesco si sforza di far funzionare ha ingranaggi stridenti. Anche mentre pensava di contenere animava al contrario una caccia del gatto col topo con un solo finale possibile. È diventato chiaro quando sulla sirena dell’intervallo Isco ha riavvolto il nastro della memoria al settembre di un anno fa: la punizione in copia carbone di quella che diede avvio alla discesa agli inferi di Ventura, in Spagna-Italia, rischia ora, col carico della galoppata di Bale e del ricamo di Mariano, di diventare una zavorra pesante pure per Di Francesco. Inevitabile se la seconda stagione romana, quella che doveva confermare l’evoluzione dello scorso anno, è iniziata con un sorriso vecchio di un mese e quattro inciampi pure goffi. Certo, la sconfitta a Madrid è una tassa che in Europa hanno pagato 14 degli ultimi 18 avversari del Real. Come a dire che solo uno su cinque ce la fa.