24/11/2018 16:56
CALCIOEFINANZA (L. MONDELLINI) - L'introduzione da parte dell’Uefa delle norme Fair Play Finanziario (Ffp) nel calcio europeo a partire dalla stagione 2011-12 ha sicuramente avuto un impatto benefico sui conti dei club. Sia per quanto riguarda la cosiddetta break-even rule (la regola che impone una sorta di pareggio operativo alle varie squadre), sia soprattutto per quelle società che hanno con più frequenza hanno partecipato alle coppe europee negli anni recenti. Ma con questo non significa che ormai si può abbassare la guardia, dato che applicando alle società di calcio gli indicatori tipici di comparti finanziari si evidenzia che molto c’è ancora da fare sulla strada di una migliore sostenibilità finanziaria dei club europei di calcio. E questo - in estrema sintesi - il risultato di uno studio, il primo nel suo genere, che per la prima volta ha analizzato l’impatto del Fair Play Finanziario raccogliendo dati sui 175 club che hanno partecipato ai cinque campionati maggiori in Europa (Germania, Inghilterra, Italia, Francia e Spagna) nel periodo compreso tra la stagione 2005-06 e quella 2014-15 e che ha applicato i concetti dell’econometria al Ffp. Uno studio, che è stato presentato venerdì 23 settembre nella sede centrale di Nyon (Svizzera) alla presenza dei direttori finanziari dei principali club europei e di cui MF-Milano Finanza e riuscito a entrare in possesso. Lo studio è stato elaborato da professori di importantissime realtà accademiche europee come Ariela Caglio, docente del dipartimento di accounting dell’Università Bocconi di Milano, Donato Masciandaro, del dipartimento di economia sempre della Bocconi e Gianmarco Ottaviano, del dipartimento di economia della London School of Economics e dell’Università di Bologna. Il report da subito mette in luce i benefici dei questa innovazione. In particolare evidenzia come la regola del break even, che rappresenta il pilastro del corpo normativo, abbia dato una grande scossa benefica ai conti del calcio continentale. Imponendo ai club una sorta di pareggio operativo tra incassi e spese (con delle deviazioni tollerate soltanto per un breve lasso temporale, pena l’esclusione dalle coppe) l’Uefa ha spinto le società a incrementare i ricavi per rimanere competitive (tramite essenzialmente i canali ricavi da stadio, merchandising e diritti tv. Non a caso la differenza tra il fatturato dei club e il costo del lavoro (una sorta quindi margine operativo lordo) si è impennato dopo l’introduzione del Ffp soprattutto per quanto riguarda i club definiti target, ovvero quelli che tipicamente partecipano alle coppe e quindi sono più attenti ai dettami dall’Uefa come per esempio il Real Madrid di patron Florentino Perez o il Manchester United della famiglia Glazer. Mentre il restante gruppo di squadre (tipicamente quelle minori, che partecipano di rado alle manifestazioni internazionali) hanno migliorato questo margine in misura molto inferiore ai grandi club. Non sorprende quindi che recentemente Gianni Infantino, il presidente della Fifa che negli anni scorsi è stato il numero uno dell’Uefa prima di Aleksander Ceferin, abbia gonfiato il petto spiegando che le perdite aggregate dei club del Vecchio continente sono passate da 1,7 miliardi nel 2011 a 400 milioni nel 2014. In questa rivoluzione non mancano i punti critici. Nel loro lavoro infatti i tre docenti sono andati alle radici del Ffp e in particolare nei punti in cui si evidenzia come gli «specifici» obiettivi delle norme del Fair Play Finanziario riguardano soprattutto la sostenibilità finanziaria dei club, un termine che include «l’aumento della trasparenza e della credibilità, la protezione dei creditori. L’introduzione di disciplina finanziaria, il bisogno di operare sui ricavi e il focus sulla capacità finanziaria di lungo periodo». E come fare dunque per misurare la performance finanziaria del calcio europeo nel rispetto degli obiettivi dichiarati del Ffp? I professori hanno scelto due indicatori come proxy. Il primo è il rapporto tra debito e cash flow (D/CF). Questo indicatore presenta numerosi vantaggi \in sede di analisi aziendale. E considerato come il più efficace premonitore
di bancarotta.