25/11/2018 17:03
L'ESPRESSO (V. MALAGUTTI - S. VERGINE) - I tifosi della Juventus ricordano bene la sera del 3 giugno dell'anno scorso. Ed è un ricordo che fa male. Quel giorno, a Cardiff, il Real Madrid vinse la Champions League rifilando ai bianconeri quattro gol (a uno). Resta scolpita nella memoria la strepitosa mezza rovesciata di Mario Mandzukic per il provvisorio pareggio della squadra italiana. Poi, però, arriva la sfortunata deviazione di Sami Khedira nella porta di Gianluigi Buffon, le reti di Cristiano Ronaldo e di Asensio e, infine, l'espulsione di Juan Cuadrado provocata da una vistosa simulazione del capitano spagnolo, Sergio Ramos. Questa la sintesi di quei 90 minuti di gioco, una sfida all'ultimo respiro che ormai fa parte della storia del calcio. Le cronache ufficiali, però, non hanno dato conto per intero di quanto è successo al Millennium Stadium di Cardiff.
C'è un'altra vicenda, fin qui mai raccontata, che prende le mosse pochi minuti dopo il fischio finale della partita più importante dell'anno, una partita che oltre alla gloria metteva in palio 15 milioni di euro destinati alla squadra vincitrice della Champions League. Quella sera, mentre negli spogliatoi del Real si festeggia il trionfo, le provette con le urine dei test antidoping partono per il laboratorio di Seibersdorf, in Austria. Un mese dopo, i risultati delle analisi vengono inviati all'Uefa. Il verdetto è chiaro: i campioni organici del giocatore identificato con il codice 3324822 contengono Desametasone, un farmaco citato nella lista delle sostanze vietate dalla Wada, l'agenzia mondiale antidoping. A Nyon, in Svizzera, i funzionari della federazione calcistica europea verificano che quel numero di serie è associato al calciatore Ramos. In altre parole, il capitano del Real Madrid ha fatto uso di medicinali proibiti alla vigilia della finale di Champions League. Questo è quanto raccontano le carte di Football Leaks, ottenute dal settimanale tedesco Der Spiegel e analizzate insieme agli altri giornali del consorzio Eic (European investigative collaborations) tra cui L'Espresso in esclusiva per l'Italia.
Il caso Ramos è fin qui rimasto un segreto ben custodito dall'Uefa. Nessuna comunicazione ufficiale, nessuna notizia, nulla di nulla. I documenti di Football Leaks svelano anche l'epilogo della storia. La confederazione guidata dallo sloveno Aleksander Ceferin si è alla fine accontentata delle spiegazioni fornite dal Real Madrid e ha archiviato il caso. E vero, il farmaco somministrato a Ramos pochi giorni prima della finale di Champions League non è stato segnalato in anticipo ai funzionari dell'antidoping, così come prescritto dal regolamento. In caso di documentate necessità terapeutiche, infatti, anche il Desametasone può essere usato dagli atleti. E Ramos, secondo quanto dichiarato alla Uefa, soffrirebbe di cronici dolori alla spalla e al ginocchio sinistro. L'apposita scheda conteneva invece il nome del Celestone Chronodose, un medicinale simile al Desametasone. L'errore, però, sarebbe stato il frutto di una banale svista del medico della squadra iberica, che non ha quindi deliberatamente violato il regolamento. Questa, in breve, la versione dei madrileni. L'Uefa non ha fatto una piega. I risultati delle analisi erano compatibili con quanto dichiarato dal medico a sua discolpa. Il caso è chiuso, quindi. Nessuna punizione per il club e neppure per Ramos, monumento vivente dello sport spagnolo: quattro volte vincitore della Champions League, campione del mondo (2010) e campione d'Europa (2008 e 2012) con la nazionale.
Eppure, nel recente passato, la stessa sostanza utilizzata dal calciatore del Real ha inguaiato sportivi di altre specialità. Le cronache segnalano il caso di un paio di pugili e di un ciclista, puniti con sospensioni fino a due anni. Nel calcio però il doping resta un tabù difficile da infrangere. A maggior ragione quando i sospetti riguardano campioni difesi da squadre ricche e potenti, superstar del pallone coperte d'oro dagli sponsor e con un seguito di milioni di tifosi nel mondo. Almeno altre due vicende narrate dalle carte di Football Leaks descrivono con precisione le regole non scritte del sistema football. Un sistema in cui i rapporti di forza tra controllori e controllati appaiono pesantemente sbilanciati a favore di questi ultimi. C'è un club, in questo caso il Real, che può permettersi di violare platealmente le norme sui controlli antidoping, senza subire la minima sanzione da parte dell'Uefa. Un buffetto, una raccomandazione («in futuro cercate di stare più attenti») e poi amici come prima. Le vicende raccontate in queste pagine erano destinate a restare segrete, blindate nelle stanze dei padroni del business globale del pallone. Adesso però, grazie a Football Leaks, siamo in grado di ricostruire le trame che si celano dietro le verità ufficiali, dietro il muro di parole che descrivono il "gioco pulito" come una priorità assoluta di Fifa e Uefa.
Per capire come funziona davvero il sistema è utile, per esempio, tornare indietro nel tempo ai primi di febbraio dell'anno scorso, quando un paio di funzionari inviati dalla federazione europea si presentarono al centro allenamento del Real Madrid con l'incarico di prelevare un campione di sangue da dieci calciatori della squadra spagnola. E' un test a sorpresa, una verifica senza preavviso a cui sono periodicamente sottoposti giocatori e club. Per agevolare il lavoro degli ispettori, gli atleti sono obbligati a segnalare i loro spostamenti e a rendersi disponibili su richiesta delle autorità sportive. Ronaldo e compagni, però, la prendono male. Sono infastiditi e non ne fanno mistero. Tra i sorteggiati per il controllo c'è anche il campione portoghese, che alza la voce. «Sempre a me», protesta il calciatore più pagato del mondo e mentre porge il braccio alla siringa si lamenta come se fosse un perseguitato.
Dopo un primo tentativo, il test deve essere ripetuto una seconda volta. Nella stanza dove è radunata la squadra sale la tensione. I medici accreditati dalla Uefa fanno appena in tempo a completare il prelievo di sangue dalle vene di Ronaldo e del centrocampista tedesco Toni Kroos, quando si fanno avanti alcuni infermieri dello staff del Real. Saranno loro a completare il test sugli altri otto giocatori. L'incidente di Madrid viene denunciato nel rapporto degli ispettori dell'antidoping. Le regole non sono state rispettate. I controlli non possono certo essere svolti dai controllati, cioè dai club. E ai calciatori, come ovvio, non è consentito scegliersi il personale medico a cui affidare gli esami clinici. L'Uefa chiede spiegazioni al club spagnolo destinato di lì a pochi mesi a conquistare la Champions League. La replica arriva a stretto giro di posta ed è una doccia fredda per la federazione continentale. José Angel Sanchez, direttore generale della squadra madrilena, mette nero su bianco una risposta che suona come uno schiaffo a quelle che, almeno in teoria, sarebbero le massime autorità calcistiche europee. Gli ispettori dell'antidoping erano inesperti e poco preparati. Per questo Ronaldo e gli altri calciatori hanno protestato. E quindi, alla fine, per completare i prelievi di sangue sono dovuti intervenire gli infermieri della squadra spagnola. Questo è quanto si legge nella lettera di Sanchez all'Uefa, che si trova tra i documenti di Football Leaks. Nulla si muove, così come succederà pochi mesi dopo con il caso Ramos. L'indagine non parte neppure, nonostante la denuncia del team dei controllori. Per congelare ogni sospetto basta che Madrid alzi la voce.
E se in Europa tutto tace, anche in patria, proprio di recente, il Real è riuscito a superare senza danni, e soprattutto senza nessuna pubblicità, anche un altro imbarazzante episodio. Al centro del caso c'è ancora una volta il capitano Ramos, difensore roccioso (ha il record di espulsioni tra i calciatori in attività nel campionato spagnolo) e dal carattere forte, fin troppo pronto a reagire alle provocazioni. Ecco la storia, in breve. Nell'aprile scorso, al termine della partita della Primera Division (la Serie A iberica) tra il Real e il Malaga, vinta in trasferta dai madrileni per 2 a 1, Ramos viene chiamato per il test antidoping. La reazione del calciatore è citata nel rapporto dei funzionari dell'Aepsad, l'agenzia spagnola a cui fanno capo questo tipo di controlli. Il documento, datato 21 settembre 2018, fa parte dei file di Football Leaks. «Arrivo subito», si è scusato il campione, per poi infilarsi sotto la doccia, violando così il regolamento che vieta di assentarsi, anche solo per pochi minuti, una volta convocati. Il motivo è evidente: c'è il rischio che un atleta, mentre si lava, riesca a urinare e quindi a falsare in qualche modo il risultato del successivo esame antidoping. Le norme sono molto chiare. Non è consentito farsi un bagno e neppure la doccia prima del controllo. Ramos, però, quella sera a Malaga ha tirato diritto, ignorando gli avvertimenti dell'ispettore incaricato del test. Sulla carta le sanzioni avrebbero potuto essere pesanti. In casi come questi, la legge spagnola prevede multe salate per la squadra e squalifiche fino a quattro anni per il giocatore. L'agenzia antidoping ha esaminato la vicenda solo cinque mesi dopo i fatti, un tempo insolitamente lungo, e alla fine ha deciso di lasciar correre. «Non c'erano gli estremi di una violazione dei regolamenti», è stata la risposta alla richiesta di chiarimenti formulata dal consorzio giornalistico Eic, di cui fa parte anche L'Espresso. Ramos è innocente, quindi. Il Real Madrid pure. Ancora una volta.