26/11/2018 15:23
LA VERITA' (G. GANDOLA) - Quando volano con la fantasia, gli ultrà della Juventus non pensano solo al Toro e ai modi più odiosi per sfregiare Superga. Sabato sera hanno pensato a lungo anche al Napoli, o meglio ai napoletani, e hanno scandito senza sosta cori contro quella città (il più tenero «Usate il sapone») se la loro massima preoccupazione fosse farli ascoltare per bene. Al calcio italiano e al loro club, ad Andrea Agnelli, Pavel Nedved, Fabio Paratici seduti nel royal box. Cristiano Ronaldo aveva da poco segnato un gol fantastico, la Spal non poteva suscitare nessun astio sportivo, ma per la curva dello Stadium questo era solo e banalmente calcio. Così hanno reiterato a voce alta le loro ossessioni, certamente consapevoli che la «discriminazione territoriale» è finita da tempo nel mirino della Federcalcio. C'è qualcosa di studiato in questi slogan a orologeria che niente hanno a che vedere con gli sfottò sportivi. C'è una violenza verbale che va oltre la sfida al sistema e alla volontà di sentirsi più forti del nemico Carlo Ancelotti, colui che si era schierato con Josè Mourinho e aveva pronunciato la frase più odiata: «Torino è triste e per me la Juventus è sempre stata una rivale». L'allenatore degli azzurri partenopei aveva sollevato il problema in settimana, costringendo l'intero mondo del pallone a lavarsi le orecchie: «È ora di farla finita con i cori razzisti, bisogna che in Italia si inizi a ragionare in modo diverso. Non bisogna insultare gli avversari, ma inneggiare ai propri giocatori, il regolamento parla chiaro. Se in trasferta ci saranno ancora episodi del genere valuteremo come comportarci. Se a Bergamo ci saranno cori di discriminazione territoriale allora chiederemo la sospensione della partita». Oggi alcuni commentatori rilevano che si trattava di astuta trappola mediatica nella quale gli ultrà bianconeri sono cascati in pieno. Troppo semplicistico, poco convincente. Per quei cori contro Napoli (e per non annoiarsi, anche contro Firenze) la curva della Juventus rischia la chiusura immediata nella prossima partita in casa. Che guarda caso è la più attesa dell'anno almeno in Italia, con l'Inter - la rivale delle rivali, il nome che fa salire la temperatura ad ogni juventino - in programma venerdì 7 dicembre proprio a Torino. E la sfida che tutti gli abbonati attendono, anche quei tifosi normali con fidanzate e figli che semplicemente non possono permettersi di pagare (salata) la tessera degli altri settori. E allora perché una provocazione così sguaiata? La risposta sta dentro il rapporto fra società e ultrà che evidentemente sta cambiando dopo l'inchiesta «Alto Piemonte» sulle infiltrazione della 'ndrangheta in curva, dopo l'inibizione del presidente Agnelli, dopo le due puntate di Report con intercettazioni imbarazzanti. Chiedeva Raffaello Bucci, ex ultrà che testimoniò in Tribunale sulle infiltrazioni della criminalità organizzata, poi suicidatosi: «Quanta multa vuoi prendere?». Rispondeva il security manager della società, Antonello D'Angelo, uno dei dirigenti più vicini alla proprietà: «Fino a 50.000». Chiosa di Bucci: «Non ce la fai, cumpà. Arriviamo a 200.000 perché lo striscione (contro la memoria di Superga, ndr) è il meno». Una trattativa malsana che un club come la Juventus non poteva tollerare. Il senso palpabile di un ricatto frutto di rapporti vischiosi nei quali s'era lasciata avvolgere. Ciò che è successo non è solo teppismo o folklore degenerato. I cori di sabato contro i napoletani, il rischio calcolato di lasciare la curva più calda dello Stadium desolatamente vuota proprio contro l'Inter, stanno a dimostrare che il club ha tagliato i ponti e i rami secchi, sta facendo pulizia, sta usando il sapone e tutti i prodotti possibili per ridare all'ambiente un lindore più consono a una società fra le top d'Europa, stabilmente nel gotha della Champions League, con un fatturato di oltre 500 milioni di euro e il prestigio per poter ingaggiare (a quei livelli non è mai solo questione di soldi) il più celebre calciatore del mondo. Ecco, i cori di sabato dicono, anzi urlano, che tutto questo ha un prezzo. Una società non vorrebbe mai veder scemare il sostegno dei tifosi, non c'è nulla di più triste di uno stadio silenzioso. In un'altra intercettazione, lo stesso D'Angelo al telefono con il figlio del boss Rocco Dominello diceva: «Non mi venire allo stadio a far stare zitta la curva al derby e devo sentire i bovini cantare (i tifosi del Toro, ndr)». Gli ultrà (non solo a Torino, ma a Udine, a Bergamo, a Roma, ovunque) non sono beceri urlatori come li dipingono i giornali. Non sono solo la tollerata e talvolta coccolata pancia di tutti gli altri; quelli in grado di scandire frasi impronunciabili ma ampiamente condivise anche in tribuna. I loro capi sanno ciò che fanno, governano un sistema di potere e di denaro, sono lucidi e determinati. E non aspettavano altro che sentire il neopresidente della Federcalcio Gabriele Gravina minacciare: «Il ripetersi di cori con evidente riferimento alla discriminazione territoriale è un comportamento incivile da contrastare con determinazione. Bisogna applicare *** rigorosamente le norme previste dal nostro regolamento». Traduzione: chiudere le curve. Quella dello Stadium è già nel mirino. Difficile che questa volta gli arbitri facciano i pesci in barile come al solito e i giudici si limitino a pene pecuniarie. La Juventus non voleva una curva vuota contro l'Inter? Il potere ultrà, sempre pronto al braccio di ferro, potrà dire: obiettivo raggiunto.