Missione a Mosca, Di Francesco prova a battere i gufi

06/11/2018 15:11

LA REPUBBLICA (F. BOCCA) - La corriera stravagante della Roma, arrivata a Mosca, in quella singolare e insolitamente quieta oasi della Champions League, dimensione diversa e parallela, ha imbarcato calciatori col sorriso e non particolarmente costernati o depressi, un Di Francesco dall’occhio accigliato, un Totti in veste di santo protettore, parecchi bauli di rimorsi, incomprensioni, schemi sballati, tradimenti, terzini e centravanti smarriti, progetti fasulli, chiacchiere, tanta fatuità e un bel po’ di velenucci col mondo esterno. E forse pure, da qualche par-te, un paio di trespoli da gufo.

Il posto dell’allenatore della Roma è ambito, per tanti motivi. Perché Roma è comunque una bella piazza, soldi per quanti se ne brucino insensatamente ce ne sono tanti, perché la Roma se la passa male (nona in campionato) e non vince nulla ormai da 10 anni (Coppa Italia 2008). Tutto questo ne fa un’occasione unica e preziosa, quasi ideale. Basterebbe infatti egoisticamente poco per vincere qualcosa, riaccendere il nucleo ormai freddo e quasi del tutto spento del pianeta giallorosso, e diventare così l’uomo del miracolo. Per questo ha sollevato un certo dispetto e imbarazzo l’improvvida uscita di Paulo Sousa, già apparso sabato scorso in tribuna per l’1-1 di Fiorentina-Roma, e il cui nome finora era rimasto sotto traccia: «Allenerei volentieri la Roma, la mia intenzione dopo la Fiorentina era quella di allenare una squadra in grado di vincere lo scudetto. Anche se il mio timing al momento ha avuto qualche ritardo». Già il timing: il raffinato e fascinoso allenatore portoghese non aveva previsto di essere rispedito in Italia dai cinesi del Tianjin Quanjian, per cui si è affrettato a precisare che «la Roma non mi ha chiamato». Mentre Renzo Ulivieri, 77 anni, presidente degli allenatori, nonché tifoso viola è intervenuto: «Suvvia, in Italia tra allenatori non si fa così».

Insomma la gufata nel calcio è anche legittima, ma che almeno la si faccia con circospezione. E non si manchi eccessivamente di rispetto al buon Eusebio Di Francesco, cui tutto si può dire, ma non di non aver messo tutto se stesso in questa avventura. E il rimorso e il bruciore di stomaco per questa imbarazzante involuzione della Roma (nono posto in classifica, 5 punti dal quarto posto, la Juve con cui si diceva che un giorno avrebbe dovuto battersi che ha ormai il doppio dei punti) è soprattutto il suo. Che si frusta e si contorce e va avanti col suo tremebondo governo di fiducia in fiducia, aspettando che per miracolo Fazio e Manolas smettano di prendere gol, il desaparecido Dzeko riprenda a farne, qualcuno si mostri degno di prendere il posto di De Rossi quando serve, e che l’allegra nidiata di talenti - Ünder, Kluivert, Karsdorp, Luca Pellegrini, Cristante, Zaniolo & C - si smalizi presto nel mestiere, si faccia carogna e diventi meno farfallona. In Champions League, contro il Cska e nel prestigioso stadio Luzhniki, resta l’unico prezioso, vitale, spazio di quiete.