02/02/2019 14:19
IL MESSAGGERO (S. CARINA) - Destini capovolti. Sono quelli di Di Francesco e Gattuso, avversari domani. È bastato appena un girone perché Eusebio, lo stesso che soltanto pochi mesi fa aveva regalato dopo 34 anni il sogno della semifinale di Champions alla Roma, diventasse «un tecnico senza dignità, incapace anche di rassegnare le dimissioni» (l'accusa più ricorrente che gli viene mossa sui social dopo l'1-7 di Firenze).
PARABOLE DIVERSE Diciannove partite hanno invece permesso a Rino il percorso opposto: da «cosa ha fatto, ha estratto al lotto per le sostituzioni? Se nel post partita fa quelle dichiarazioni mi viene il vaffanculo facile» (esternazioni del Ministro dell'Interno Salvini dopo il derby perso dal Milan a ottobre) ad allenatore osannato, capace di eliminare il Napoli in coppa Italia e regalarsi, attualmente, il ruolo di favorito nella corsa al quarto posto. Probabilmente aveva ragione il teologo Bonhoeffer quando ricordava che «se sei salito a bordo del treno sbagliato, non ti serve a molto correre lungo il corridoio nella direzione opposta». E forse per Di Francesco è arrivato il momento di fermarsi. Per venire infatti incontro ad un mercato che non ha rafforzato la rosa e a una squadra che si sentiva più a suo agio a giocare con il 4-2-3-1, dopo il ko di Bologna (23 settembre) ha abbandonato il suo credo tattico (4-3-3) iniziando una girandola di moduli e formazioni (29 diverse in altrettante gare stagionali) che lo ha portato a perdere d'identità. Percorso inverso ha fatto Gattuso: sollecitato da media, club e tifosi a cambiare per far giocare Cutrone vicino a Higuain, ha prima ceduto alle pressioni. Poi, quando ha capito che quello non era un vestito adatto per lui, ha fatto retromarcia. Della serie: se devo affondare, lo faccio con le mie idee. Per mesi sulla sua panchina è aleggiato lo spettro di Conte, senza che nessuno della nuova società spendesse una parola a suo favore. Gattuso, però, ha continuato per la sua strada, ergendosi a scudo della squadra nei momenti di difficoltà. E ora i suoi calciatori pendono dalle sue labbra. Atteggiamento che a volte è mancato a Eusebio. Soprattutto nella comunicazione verso l'esterno. Probabilmente il suo compito era/è più difficile. Amalgamare uno spogliatoio nel quale albergano generazioni calcistiche così diverse non è semplice. E perdere alcuni collanti (su tutti Strootman) non ha sicuramente aiutato. Se è vero che soltanto chi vive quella realtà ne può parlare, tuttavia qualche spiffero che vuole un gruppo diviso al suo interno in più sotto gruppi, ormai trapela da tempo, con le liti in campo a Firenze a confermarlo. Ora Eusebio è al bivio: può continuare a «correre lungo il corridoio nella direzione opposta» sul treno sbagliato, oppure cambiare. In campo e fuori.