22/03/2019 14:57
Il fatturato continua a crescere ma crescono di più i costi, e se non fosse per le plusvalenze il buco sarebbe una voragine. È desolante, finanche allarmante, la fotografia scattata dall’inchiesta annuale della Gazzetta sui bilanci dei club: la Serie A, che rincorre affannosamente le migliori leghe europee, vive in una realtà sospesa, è un grande circo in cui convivono giganti industriali, formiche coscienziose e cicale che volano oltre le proprie possibilità. I ricavi, al netto delle plusvalenze da cessione calciatori, hanno raggiunto ormai quota 2,4 miliardi, esattamente 2.398 milioni nel 2017-18, 131 milioni in più dell’anno prima [...]. Tuttavia le spese, al netto delle minusvalenze, sono schizzate a 3 miliardi (2.997 milioni nel 2017-18), 295 milioni in più del 2016-17. Spese, beninteso, quasi tutte «sportive»: 1,5 miliardi per gli stipendi e 700 milioni per gli ammortamenti dei «cartellini» dei giocatori. Queste due voci sono lievitate, in dodici mesi, di circa 80 milioni a testa e, messe assieme, bruciano il 90% delle entrate.
La gestione caratteristica è particolarmente stressata, anche perché i club italiani, salvo rare eccezioni, perseverano nell’antico vizio di spendere solo sulle rose rinviando quegli investimenti utili a uno sviluppo strutturale. Una visione di corto respiro. La riprova? Da due anni sono tornate di moda le plusvalenze, in certi casi fittizie. Nel 2016-17 i guadagni dal trading dei calciatori, al netto delle minusvalenze, erano ammontati in Serie A a 690 milioni, praticamente il doppio della stagione precedente. Nel 2017-18 le plusvalenze nette hanno toccato quota 731 milioni [...]. Non il modo migliore per riequilibrare i conti. Vero è che i trasferimenti sono il core business di una società di calcio, ma non è indice di salute finanziaria redigere i budget [...].
Difficile quantificare la fetta «malata» di quei 731 milioni però è un fatto che, al di là del processo dell’estate scorsa che ha portato alla penalizzazione del Chievo per gli affari con il Cesena, diverse società abbiano l’abitudine di scambiarsi calciatori come figurine, a cui vengono assegnati valori arbitrari, aggiusta-bilancio. La conferma sta nell’aumento degli ammortamenti e, soprattutto, in un fenomeno collaterale particolarmente significativo: nel 2017-18 i debiti lordi della Serie A sono schizzati di 300 milioni rispetto al 2016-17, da 3,5 a 3,8 miliardi. Se però li depuriamo dai crediti, la crescita è stata più contenuta, di circa 60 milioni: i debiti netti sono vicini a quota 2,2 miliardi. Ciò significa che l’indebitamento lordo si è ingrossato soprattutto per le passività verso le altre società di calcio, che nel caso della Serie A vengono annullate dai crediti. Occhio, con le plusvalenze non si scherza. [...]
Reperire le risorse sul mercato dei calciatori, e non su quello più sfidante di un’industria calcistica ormai globalizzata ed inserita nel segmento dell’entertainment, è una via senz’altro comoda e immediatamente redditizia. Ma così il calcio italiano continua a rimandare il salto di qualità. Basti guardare alla composizione del fatturato della Serie A: il 54% arriva dai diritti tv, il 23% dal commerciale e appena l’11% dallo stadio (il restante 12% si riferisce ad altri ricavi). La Juventus, che ormai ha creato un solco economico in Italia, si è attrezzata per diversificare le entrate in un contesto internazionale, inseguita dall’Inter: l’operazione Ronaldo ha fatto schizzare l’indebitamento finanziario ma ciò fa parte del nuovo piano di sviluppo, per quanto rischioso. Gli altri club virtuosi, in Serie A, sono quelli che non hanno debiti con le banche (Cagliari, Napoli, Torino), che sanno valorizzare i propri talenti (Atalanta, Fiorentina, Lazio, Sampdoria), che hanno alle spalle soci forti (Sassuolo). [...]
(Gasport)