09/04/2019 14:56
IL MESSAGGERO (M. ALLEGRI) - Nessuna legittima difesa: quando ha sparato verso il tifoso napoletano Ciro Esposito, l'ultrà della Roma, Daniele De Santis, ha esploso cinque colpi «ad altezza uomo». È scritto nelle motivazioni con cui la Cassazione, il 25 settembre scorso, lo ha condannato a 16 anni di carcere per l'omicidio di Ciro. Per i giudici, «De Santis aveva provocato la situazione di pericolo» e «aveva poi assunto una reazione non proporzionata all'offesa». Ha sparato più colpi «in rapida successione» e quattro proiettili hanno colpito e ucciso la vittima, a Roma, poco prima della finale di Coppa Italia tra Fiorentina e Napoli, nel maggio 2014. Confermando la sentenza d'Appello, la I sezione penale sottolinea che ci fu «un contatto fisico» tra il giovane napoletano e De Santis. Probabilmente Ciro aveva dato un pugno all'ultrà che, cadendo, si era rotto una gamba. Il sangue del romanista era finito sul cappellino di Ciro e sulla pistola usata per uccidere.
LA RISSA - I giudici respingono la tesi della legittima difesa sostenuta dei legali dell'imputato: secondo la Cassazione, gli spari non erano stati una risposta all'aggressione fatta da un gruppo di napoletani. La rissa, infatti, sarebbe scoppiata dopo l'esplosione dei colpi. De Santis, si legge nella sentenza, «si trovava a fronteggiare un gruppetto sparuto di tifosi disarmati». Non solo. Per gli ermellini, l'ultrà «aveva provocato una situazione di pericolo, scagliando oggetti contro il pullman dei napoletani, mettendo in conto una possibile reazione». L'uso dell'arma «fu posto in essere deliberatamente», sottolineano ancora i giudici. De Santis, infatti, «non si servì della pistola per dissuadere i soggetti che si avvicinavano. Né sparò in aria per intimorirli. Sparò ripetutamente e ad altezza d'uomo».
«Sapevamo già com'erano andate le cose, ce lo ha raccontato Ciro. Una parte di giustizia è stata fatta. È stato un omicidio volontario», ha commentato Antonella Leardi, madre di Esposito.